Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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Qlcyul-ooeétr WopoQmìla acmitl lettela Fu nel periodo del dopoguerra che la stampa di tutti i paesi si compiacque di lanciare le più stravaganti notizie riguardanti la vita privata di attori e di personalità del cinematografo e che si prodigò a diffondere informazioni delle più strane relazioni tra uomini eminenti della politica, dell'arte, e delle lettere e il cinematografo. Principalmente furono i re ed i principi di sangue reale coloro che fecero le spese di questa stampa e si vollero scoprire ad ogni costo interessi e legami fra quella che era' allora reputata una delle meno serie attività umane e i rappresentanti più dignitosi e più nobili dell'umanità. Indubbiamente questa ventata rappresentò una delle tanto diffuse manifestazioni della confusione morale di quel periodo in cui piaceva unire il sacro al profano nei più scompigliati e impensati connubi, ma contribuì in un certo senso a far scomparire pregiudizi ed idee e ad abbattere barriere veramente inspiegabili che si erano formate tra lo schermo ed il cosidetto mondo della « serietà », del « buon tono ». Poi, seppure lentamente, si ritornò ad una normalità nuova, ma l'esperienza era ormai fatta e l'apparizione ormai sporadica di notizie simili sui giornali non meravigliò più nessuno, e cosa ancora più importante, non interessò neppure; l'americanata era ormai un luogo comune e come tale lentamente si spense. Oggi però in un tono volutamente meno dozzinale e meno sensazionale tali notizie riapppaiono qua e là, e sembra, dal loro numero su quella stampa, che i lettori francesi ne vadano ghiottissimi. Così a distanza di parecchi anni ecco tornare insistente la voce che l' ex-Kaiser avesse avuto intenzione di fornire al gruppo Hearst, che rappresenta in America la parte germanofila della stampa, un copione per un film che riabilitando il decaduto sovrano, recasse novità sensazionali sulle responsabilità della grande guerra e sulla disfatta tedesca. Si dice che nel 1932 rappresentanti di lui si fossero recati negli Stati Uniti a tale scopo e che lo scena rio era tolto da un libro dello stesso Guglielmo. Così, sempre secondo la stampa di Francia, Gustavo V di Svezia pare aver corso anche egli il rischio di entrare in pieno nel mondo del cinema. Non come autore o soggettista però, ma come attore. Proposte delle più strane gli sarebbero state fatte e tra le altre quella di un milione di dollari per un documentario di 300 metri. Sembra però che il protocollo della corte di Svezia che non permette ad alcun sovrano di trasformarsi in attore o in conferenziere, lo abbia salvato. Forse anche queste voci caratterizzano un momento. M èlocm a Wagnel Un'ordinanza del comune della città inglese di Hastings ha vietato che in quel territorio giurisdizionale le orchestre cittadine suonino musiche di Riccardo Wagner, sieno esse opere o brani sinfonici, come pure ha messo al bando tutti quei film nei quali il commento sonoro risulti fatto con musiche del grande compositore tedesco. La ragione addotta a giustificazione di tale provvedimento è che la musica wagneriana risulterebbe « pesante, priva di brio », quasi un « presentimento hitleriano », e che essa è « il vero prototipo, in termini artistici, di una aggressione nazista ». Al posto di essa verranno invece eseguite opere di Beethoven, di Mozart, di Haydn, perchè la loro musica, a differenza della precedente « appartiene ormai a tutto il mondo 'Salute, Gary!' 'Ciao, Clark!' e il suo carattere non ha alcuna relazione col fatto, d'altra parte puramente casuale, che il compositore sia nato in Germania ». L'Inghilterra è fra i paesi più scarsamente produttivi in fatto di musica, il suo patrimonio musicale è di ben scarso livello; essa non può quindi in tempo di blocco contare esclusivamente sulle proprie forze in questo campo: ecco perciò giustificata la limitazione all'opera di un musicista tedesco e non a quelle di altri suoi connazionali. Ciò però che non sembra affatto giustificato è il motivo addotto per tale restrizione. Infatti gli inglesi, quando con facilità e leggerezza sono portati alla confusione di quello che è il valore universale di un'opera d'arte con un comodo internazionalismo nel senso più politico e pratico della parola, cadono, come in questo caso, in sviste assai ridicole e quel che è peggio, tradiscono una mancanza di quella obbiettività e di quel buon gusto di cui essi ambiscono essere ritenuti i possessori. Beethoven, Mozart, Haydn. Basterebbe aver letto brani dei loro scritti, o conoscere fatti della loro vita per capire l'assurdo e la meschinità di tali affermazioni. (( La mia patria ed il suo bel paesaggio », scriveva nel 1800 Beethoven da Vienna all'amico Wegeler, « nel quale io vedo riflessa la luce del mondo, è sempre chiara e limpida dinanzi ai miei occhi, come quando io lasciai là voi; in breve, stimerò come uno dei più felici avvenimenti della mia vita il tempo in cui potrò rivedere voi e salutare ancora il nostro amatissimo padre Reno ». Né Mozart aveva pensato altrimenti quando nel 1785 scriveva ad Anton von Klein auspicando che a Vienna sorgesse finalmente un teatro dove « noi tedeschi, possiamo pensare in tedesco, agire in tedesco, parlare in tedesco, e infine cantare pure in tedesco ». Al Re Giorgio III poi che nel '795 a Londra si complimentava con lui chiamandolo un « vero, sincero e buon figlio della Germania » , Haydn rispose che principalmente questa ultima verità era quella che lo riempiva immensamente di orgoglio. Ma forse il comune di Hastings non ha approfondito. (Film W'eekly) G. L 253