Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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Per fortuna, in mezzo a questa truce e torbida sfilata di artigli, di vendette, di voluttà e di misteri, c'è almeno qualcosa che rivela se non proprio delle intenzioni moralizzatrici almeno uno spirito più pacifico. È un produttore di Barcellona che lo offre. Il film s'intitola: forza e nobiltà. Non illudetevi: è un tentativo senza seguito, purtroppo. Ecco infatti l'« Armenia Film )> di Torino presentare la tigre vendicatrice, e un'altra casa offrire addirittura un cinedramma storico intitolato: DE MENTIA CALIGULAE IMPERATORIS. E si potrebbe continuare. I produttori di allora, animati da uno zelo straordinario, si prodigavano alla ricerca di nuove storie. E talvolta, spinti dal loro stesso zelo, si saranno guardati attorno con malcelato compiacimento ed avranno pensato che, senza dubbio, non era possibile fare di più e meglio di quello che essi facevano per accontentare il pubblico. Non è una nostra supposizione, questa. Stralciamo ancora, dalla stessa rivista, un brano che illumina singolarmente il compiacimento del produttore. « Una lotta favolosa è quella che s'impegna, alla fine del secondo episodio di ravengar fra uno dei personaggi e un gigantesco polipo. Questa scena di una drammaticità impressionante, è indubbiamente una novità assoluta e costituirà per il pubblico una sorpresa del massimo interesse. In questa lotta che ha del meraviglioso, dello straordinario da Mille e una notte, i tentacoli della bestia riescono infine vincitori, dopo una lotta lunga ed emozionante, e l'uomo — preda inerte — viene trascinato in fondo al mare dalla terribile trionfatrice. Non c'è che dire, con questa scena di ravengar siamo giunti al massimo dello irrealizzato realizzabile, del fantastico inimmaginabile reso realtà visibile! ». Dopo di che, lo spettatore avido, finalmente sazio, si sarà addormentato. Salvo a reclamare nuove storie al suo risveglio, sempre nuove storie. VITTORIO CALVINO LA FRETTA GIORNI FA, commentando le accoglienze della critica a bionda sotto chiave, Zavattini segnalava, quale pericolo n. i della cinematografia italiana, la fretta. Chi sta un po' addentro alla vita di Cinelandia sa che purtroppo questo è vero nella gran maggioranza dei casi. E ormai lo sa anche il pubblico, il pubblico che, quantunque bene intenzionato nei riguardi del nostro cinema, in tutti quei casi riconosce, nelle immagini che passano sullo schermo, qualche cosa che non va. Non sa dare un nome a ciò che non va, non sa definirlo, classificarlo : è trascuratezza, è il mobile non intonato, l'attore scelto male, l'abito non appropriato, la situazione zoppicante, il racconto non ripulito ^er ogni film si può fare di questi difetti una distinta assai precisa). E perchè? Perchè in Italia non si sa fare il cinematografo... ma questa opinione è vecchia, stantia, ha fatto il suo tempo e non è più di gusto per nessuno. Zavattini fa dei paragoni col tempo stabilito per la preparazione di un film in altre industrie straniere. Tali paragoni non sono una novità, ma ricordarli fa bene. Reazione alla faciloneria che è pure una faccenda solita. Tuttavia non si possono pretendere molti mesi di preparazione e di lavorazione per un film di media entità; e non si possono pretendere non tanto perchè richiederebbero spese ingenti e non proporzionate a quel costo medio che pare ormai stabilito per la nostra produzione relativamente al suo rendimento, quanto perchè, in una produzione organizzata, condotta intensivamente con criterio e idee chiare, molti mesi risulterebbero alla fine inutili. Faccio un caso tipo, schematico. Sorge l'idea di un film, si costituisce una casa per produrlo. Il soggetto esiste. Lo si dà a sceneggiare a una o a più persone che debbono consegnare il lavoro entro un tempo stabilito (e questo tempo in taluni casi è veramente troppo breve). Finché non è terminata la sceneggiatura, l'organizzazione procede generica. Si aspetta di leggere la sceneggiatura per precisare gli infiniti elementi di questa organizzazione. Intanto, però, dato che bisogna entrare nel turno di lavorazione di un teatro di prosa, si fissa il giorno d'inizio del film e si affitta il teatro per quel giorno. Gli sceneggiatori, com'è umano, consegnano la sceneggiatura con qualche giorno di ritardo. Capita che la sceneggiatura abbia rivoluzionato il soggetto originale e allora va a farsi benedire anche tutta l'organizzazione preparatoria e bisogna ricominciarla daccapo. Si legge la sceneggiatura; la leggono varie persone: il produttore, il regista, ecc. Tutto da rifare, almeno secondo loro: caso comune. Intanto il giorno fissato per il teatro di posa si avvicina e, cambiando o ritoccando la sceneggiatura, è nuovamente da rifare l'organizzazione. Ora la fretta afferra tutti, li innervosisce. S'incomincia a far nottata; le idee, già poco chiare, si annebbiano sempre più. Bisogna entrare in teatro il cui affitto fa volare ogni giorno biglietti da mille; e non si può andare oltre il numero di giorni stabilito per la lavorazione (e quindi questa si comprime) perchè si è già fuori del preventivato e, talvolta, bisogna sgomberare il teatro dove debbono subentrare altre produzioni. Ecco, dunque, qual'è la fretta più pericolosa: quella che spinge a raffazzonare all'ultimo momento. Non si vuol certo disconoscere al produttore, al regista o al direttore di produzione il diritto di giudicare cattivo un lavoro che sia veramente tale, ma si può loro richiedere più intelligenza e meno leggerezza sia nell'affidare dei compiti sia nell'impostare la propria attività. Una sceneggiatura raffazzonata nell'ultimo momento o addirittura modificata durante la lavorazione, è una pessima base; un'organizzazione sommaria e rabberciata crea pessime condizioni di lavoro. DOMENICO MECCOLI 257