Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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IL CINEMA EUROPEO LE STAZIONI EUROPEE RAGGIUNGERANNO Ili PIÙ ALTO LIVELLO COS LA FORMAZIONE DI '-STILI" UNITARI IL cinema americano, muovendosi anzitutto sul terreno industriale, riesce quasi sempre a mantenersi in un piano di puro movimento, basandosi su certe convenzioni che, per essere tali, non sono meno cinematografiche. Il cinema europeo, che è generalmente molto meno superficiale, quasi mai arriva a dimenticarsi d'aver dietro le spalle secoli e secoli di musica e di letteratura, di pittura e di teatro. Noi non riusciamo, visti i risultati, a lamentarcene eccessivamente: dal momento che, poi, un'estetica della pura immagine è nata in cervelli europei, dal Canudo aH'Arnheim; dal momento, anche, che sappiamo come il contributo delle vecchie arti (specialmente della letteratura — vedi Chenal, e della pittura — vedi Pabst) non sia, se mantenuto a un'altezza d'esempio, e nella tradizione di opere vicine strutturalmente al cinema, quel gran male che si vorrebbe credere. Certamente i francesi, per esempio, abusano della letteratura, e di una pessima letteratura che va dall'enfasi vittorughiana al più sordo e grigio Zola, fino all'esotismo di maniera dei Kessel, Carco, Mac Orlan; certamente in Italia, per esempio, ci si ricorda con troppa insistenza dei precedenti teatrali, specie del teatro borghese, volta a volta melodrammatico o farsesco o sentimentale, da Niccodemi a Zorzi a Sabatino Lopez. Tuttavia restano gli indubbi esempi (si pensi al riconosciuto prestigio del cinema tedesco del dopoguerra) che dimostrano come un retroscena culturale e artistico, il senso di certe tradizioni formali e magari nazionalistiche, riesca, a patto di mutarsi in cinema, e cioè di calarsi nell'immagine e nelle sue leggi dinamiche, a dare ottimi frutti : tali, spesso, da superare in serietà e profondità le diverse esercitazioni del « mestiere » di Hollywood. In un momento di crisi accentuata come, per vari sintomi, sembra essere quello attuale, se dopo aver deprecato le piaghe della produzione continentale proviamo a « fare il punto » di quella americana, ci rendiamo conto ben presto che, come fu argutamente osservato, « Sparta non ride ». Se il cinema europeo è minato dall'estetismo, quello americano è bloccato a formule schematiche dall'organizzazione commerciale, e rischia di esaurire quella che sembrava la sua inesauribile possibilità, di inventare cioè ad ogni passo nuove mode e nuovi « standard ». Sono questi, oramai, luoghi comuni, dei quali tuttavia non si saprebbe disconoscere l'importanza, e che giova iterare e ribadire. Quel che importa è che, oggi, la produzione degli Stati europei si trova in una posizione di privilegio, dato che una lunga decadenza dopo indubbi splendori le assegna carta bianca per rifarsi giovane e nuova — cosa estremamente difficile per gli americani, che hanno da poco toccato il culmine della parabola, e che irrimediabilmente dovranno subire, dopo il presente periodo di stanchezza, una faticosa fase di assestamento. (Qui non si tratta di far profezie, ma esclusivamente di constatare un processo evidente e naturale in sede storica). Altra legittima illazione deducibile dagli esempi storici, è che le Nazioni europee raggiungeranno il più alto livello desiderato, e anche la più augurabile universalità, proprio accentuando i loro caratteri nazionali. Per non essere frainteso, preciso che anzitutto non alludo a questioni di contenuto (è nota l'esistenza di un « tono Francia » o di un « tono Germania » ravvisabili anche se applicati a soggetti lontanissimi d'indole : d'ambientazione), bensì alla formazione di uno « stile » unitario; e, in secondo luogo, che parlo della produzione cosiddetta media, e non delle iniziative individuali — delle prove di forza di certi speciali ingegni — che per propria natura esorbitano da ogni discorso panoramico. E insomma, ad ogni nucleo produttivo s'impone l'esigenza di raggiungere una propria speciale « civiltà cinematografica ». Se volessimo illuminare la situazione di questo processo evolutivo della produzione, e gli ostacoli ch'esso incontra, nessun esempio migliore potrebbe esserci offerto di quello francese. Guardate Julien Duvivier, per citare un regista che ha un valore rappresentativo più che un aspetto' stilistico individuale. Credo che i bollenti entusiasmi degli esteti internazionali si vadano calmando, lasciando il posto a un serio esame critico, d'onde affiorino i « prò » e i « contro ». Duvivier è, in fondo, un sentimentale: può darsi che quest'uomo d'infinite risorse stia per ripetere in minore, nella storia dei film, la ventura di Zola nelle lettere. Verista programmatico e accanito, è un romantico contro voglia, e trova qui i risultati più suoi : di colui che pretese di riassumere in un film una somma delle vicende umane e della noro pena (carnet ni ballo), resterà invece una paseggiata di bimbi per le campagne di Poil de carotte. La sua individualità, fin La Gloria e Sacripante nel filone d'oro (v. pagina 276)