Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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m JPW1B&M©© 3!fiì(©!L!ggÌ LÀ mia impressione del pubblico cinematografico inglese è fatalmente compromessa dalla prima visita che io feci ad uno dei sontuosi picture theatres di Londra. Entrai nella sala proprio nel momento in cui una luce violetta in sordina andava gradualmente avvivandosi e cangiandosi in un ricco arancione dorato, mentre un fascio di raggi bianchissimi, una colonna candida come panna, avviluppò un angolo del proscenio, e dentro lenta e solenne vi sorse, a mo' di stame carico di polline, la mistica erezione di un sonorissimo organo. Ricco e solido come fosse scavato nel torrone più duro e soave, l'organo s'arrestò a mezz'aria, e il ghiotto insetto caudato di marsina che stava aggrappato alla tastiera fece d'incanto svanire le note spiegate e tumultuose dell'esordio in una lene stregata querula nenia. Dolce armonia da organo! Un miele purissimo, ultraterreno, invase la sala arancione; cornucopie di melassa, fiumi di sciroppo odorosissimo piovvero come dal cielo bianco e oro del soffitto falso rococò, insidiosamente impregnarono di molle dolcitudine i più riposti anfratti della platea di rosso velluto. Allora guardai il pubblico. Era questo il paradiso di Ossian, in cui eteree creature angeliche porgono agli stanchi guerrieri le tazze del celeste idromele? Questo scritto di Mario Praz apre la nostra serie sui pubblici dei cinematografi del mondo. Seguiranno articoli di Emilio Lecchi sul pubblico americano, di Corrado Alvaro sul pubblico russo, di Enrico Emanuelli sul pubblico tnilanese, di G. B. Angioletti sul pubblico francese, di Raimondo Manzini sul pubblico cinese, etc. Dappertutto \£devo coppie che sembravano emergere con occhi natanti di voluttà da un oblìo profondo, e, rallentato l'abbraccio, si vezzeggiavano offrendosi il soave contenuto di larghe scatole dorate e infiocchettate di rosa e d'azzurro, coppie sprofondate nel velluto, circonfuse del fumo cilestrino di sigarette oppiate, trasportate dalla musica dell'organo come in un maestoso carosello obbediente al ritmo recondito delle celesti sfere. E allora mi accorsi che questo non era che un'immensa alcova, un riposato porto spirante tutti gl'incanti e le voluttà delle Mille e una notte, per ristorare dall' indicibilmente grigia esistenza cotidiana nella grigia città quegli stessi uomini che tu incontri pallidi e pieni di sussiego la mattina nella City, e le dattilografe e le commesse di negozio che il giorno dissimulano alla beli 'e meglio la loro anima di silfide o di odalisca in qualche polveroso uf ficio dove mai non penetra il sole, o dietro il banco d'un grande magazzino di confezioni. E mentre la musica dell'organo seguitava a celebrare il suo ufficio semidivino di pronuba, alternando gli svenevolissimi adagi coi larghi appassionati e i briosi allegretti, e riempiendo talora d'un turgido tuono le volte, le più disparate immagini mi balenavano agli occhi della mente. Vedevo le gallerie dei teatri dell'epoca elisabettiana piene di turbe chiassose e impazienti, che spendevano gl'intervalli giocando a carte e mangiando frutta e dolciumi, mentre le cortigiane circolavano molleggiando sui fianchi, e le signore oneste, per non confondersi con tale marmaglia, portavano il viso coperto di maschera e si appartavano nei palchetti. Vedevo i primi teatri coperti dell'epoca carolina, ammorbati dal puzzolente fumo d'una universale moccolaia, dove, in un pallida tremola luce, divinità pesantemente vestite e incrostate di chincaglie apparivano contro rozze prospettive illusionistiche, tra penose sovrapposizioni e risoluzioni di nubi di tela dipinta. D'un tratto, mi si ripresentava un genere d'episodio un tempo classico nei cinematografi nostrani, quando al grido inviperito di « Luce! luce! », cigolavano e scattavano tutti i sedili automatici di legno all'alzarsi 308