Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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J * T JCÌA/ICÌ 1 J\j rTf 7 S 7 Ti 7 T F ^° semPre pensato che gli attori vadano visti a distanza. noi in poltrona e loro sul palcoscenico, specialmente (piando sono della specie del comico Macario il quale, riuscito a « marionettizzarsi » al massimo, è lontano dall'umanità quanto può esserlo un burattino. Mi interessava quel suo barcollar senza peso, in una sfera astratta, magica, a cui viene perciò a mancare l'elemento tragico o drammatico, quelle sue mosse da campagnolo che va fischiettando al mercato, o di garzone di latteria (mi suggerisce idee di uova fresche, di cacio putto...) stupida) e furbo, caricato a molla con la carica che va a scalti, si ferma si riprende precipita, a cui è riuscito a dare una grazia, un' eleganza tutta sua. Avevo tuttavia notato, vedendo un film, come in certi trapassi fosse meno felice, come il tipo si sgangherasse e cadesse dalla sfera dove lutto è meccanico e armonioso nel disordine e nel dramma deli' umanità. Se avessi visto il signor Macario gli avrei dato qualche buon consiglio, ma non son riuscito a vedere il mimo, un po' perchè appena entro fra quinte e camerini mi viene il mal di stomaco triste, un po' perchè il signor Macario, giunto ad alta fama si contorna di feroci cani da guardia, che è una maniera d'illudersi d'essere più celebri del necessario. Prima di tentare quinte e camerini telefonai dunque all'albergo. Non c'era il comico, bensì la sua Signora la quale desiderò in primo luogo sapere chi fosse l'importuno. Essa però si compiacque farmi riferire che il Consorte si trovava forse in teatro per le prove. Sicché, vinta la mia naturale riluttanza visiva e olfattiva, me ne andai in un teatrone popolare ottocentesco vuoto enorme polveroso avvilito da una luce usata che pioveva dall'alto. Tre figuri stavano sbracati fumando su delle poltrone di peluche, alcuni scamiciati lavoravano sul palcoscenico in un'atmosfera indeterminata, imbullettando, issando, trascinando attrezzi di legno e -di carti testa. Il divo inutilmente spiato non si mostrò, ma scese da una scaletta un tizio col pastrano ciondoloni, il cappello in capo, una sigaretta in bocca e la barba di due giorni. Mi guardò in tralice con un saluto poco spendereccio e, gettando la sigaretta (non senza spiaccicarla, per educazione, con un piede) mi chiese: « C hi siete? che volete? ». Dissi quel che avevo da dire, che cioè volevo vedere il signor Macario. « Dite a me — fece il tizio continuandomi a squadrar brutto, — son io che faccio gli affari per il signor Macario. Sopra non si può montare ». Sicuramente il tizio, con tutto quel suo squadrare, aveva indovinato chi io mi fossi: cioè un timido e appassionato ricercatore di autografi e immagini di divi. Nel mezzo della mia odissea mi sembrava d'esser piovuto nell'isola di Circe e stavo per mutarmi anch'io in orrida fiera quand'egli, vedendomi cambiare — Sono anch'io persona per bene. Vi ho detto che non si può montare, che gli affari li faccio io, e che dica altro ». Viva la faccia della purezza villana, dell' ignoranza rinfrescativa! Questa era di tuli' ultra specie. Il tizio si girò e rimontò adagio la scaletta come uomo che si guarda le spalle. Ed ecco. Tutto questo è molto divertente e istruttivo. Vi consiglia di statitene in poltrona a ridere mentre i mimi se ne stanno sul palco a sgambettare. Il risultato della mia intervista lo vedete in questo medaglione bianco. Questo medaglione ino vuoto sarà forse meditato dai posteri, e fra latiti degni ritratti c Alo 3 aspetto: « Per chi mi avete preso? — esclamò. se volete dire qualcosa riferirò. È inutile che vi che adornano la galleria, il bravo Macario (e non lutto per colpa sua) passerà alla storia come il Mariti Pallerò dei cornici. BINO SANMINIATELLI / BAFFI DEL MARESCIALLO £""•' ricordano Sa?«p?nti ■rm7no' da Palio ai giorni nostri. Lo ricordano anche all' U fa, dove sino dalle sue pinne sillabe di lingua tedesca si è fatto capire magnificamente. Gli arrivi di Sacripanti al Pascià di Berlino avevano un'eco immensa. Portava con se immensi e infatuati racconti e quantità di spaghetti; una sera venne dall'Italia al trentasei della Vikloriastrasse con un telegelato. L'aperse e conteneva una mozzarella. Il pittore Scielzo, che era napoletano, pianse. Ormai tutti conoscono Sacripanti e quando era sottotenente e comandava un plotone i ragazzetti si jecero intorno gridando correte, qui stanno a fa' er cinematografo. Sicché di Sacripanti siamo risaliti alle fonti. « La mia », dice, « fu una passione ostacolata, dapprincipio non ne volevano sapere. Poi l'attore De Antoni, uno dei primi interpreti della Nave, che era stalo il mio direttore prima che andassi soldato, mi presenta a Bragaglia. Vado da Bragaglia e mi guarda con quei suoi occhi freddi acciaio, sai com'è? e due mbè, vie' stasera. E studiete er copione. Aliata io naturalmente mi precipito subito a studiare, hai capito?, e penso ecco adesso sfondo, adesso stupisco tutti. Infatti alla sera arrivo là solo soletto, non c'era ancora nessuno, e scendo nelle grotte. Dopo mezz'ora vien qualcuno. Presentazione. Attori dì. gran fama non conosciuti da nessuno. Gran arte. Bravi ragazzi. Finalmente sbraitando arriva Bragaglia. Gli attori si dispongono in semicerchio e io mi avvicino timidamente al regista e gli chiedo flebilmente la mia parte. Lui mi diede un'occhiataccia obliqua e urlò mbè tu scendi in buca. Tu suggerisci. Io sono incapace di dir di no e scesi in buca dove restai per sei mesi e infine fui protestato per la voce grossa. « Ma sicuro » gli fa uno di noi « adesso mi ricordo, tu eri agli Indipendenti nel Gelsomino d'Arabia? ». « Nel Gelsomino d'Arabia », dice, u ero il Maresciallo Spaccone, un tipo violento e sensuale innamorato di Gelsomino magnifica creatura mediterranea. La sera della prima tutto emozionato mentre ero in scena con la prima attrice sentii che i lunghissimi baffi che ornavano il mio labbro superiore lentamente ma inesorabilmente si staccavano. Allora io raccomandandomi a Santa Pupa non appena detta la battuta » Depongo ai tuoi piedi di fata maliarda tutta la mia autorità di maresciallo » mi staccai con spagnolesco gesto i baffi e li deposi dolcemente sulle ginocchia piegate della bella. Dal pubblico sentii come un urlo e dissi mamma mia, che facciamo. E invece! Bene: fatto sta che l'autore mise la battuta nel testo. Hai capilo? v c s ac ripa n te 3 "ROMANO DELL/ PONTEFICI" " ""•""»■ R7a»° <**???*?&•. chi non lo sapesse via dei Pontefici e una delle più vecchie e caratteristiche strade di Roma). Nessuno ci vuole mai credete, tutti mt vogliono abruzzese. E pensare invece che l'Abruzzo l'ho visto qualche anno dopo avere creato una delle macchiette che hanno avuto più successo « L' Abruzzese a Roma ». È Riento che parla. Stiatno nel suo camerino alla Scalerà. Gli domando qualche cosa della sua carriera. « Non andiamo a rivangare un passato tanto lontano. Pensa che il mio esordio avvenne nel iSg8 ». « E quanti anni hai? ». « Questo poi non te lo dico. Ma ti basti sapere che ero molto giovane. Debuttai al Morteo, in veste di fanciullo prodigio. Facevo le macchiette e mi battezzarono il piccolo Maldacea. <( Ti piace il cinematografo? ». <c Molto. Ho interpretato fino adesso otto film. Cominciai in allegri masnadieri dove mi affidarono una parte di feroce nostromo; dopo il signor max, l'ha fatto una signora, io suo padre, per uomini soli, grandi magazzini, il socio, che non è ancora stato visionato, e il ponte dei sospiri, che si sta girando. « E sei soddisfatto delle tue interpretazioni? ». » Quante cose vói sape' ». È meglio lasciare giudicare al pubblico, nun te pare? Però con il cinematografo per poco non ci lascio la pelle. Fu mentre giravamo grandi magazzini. La partenza per la corsa in furgoncino fu realizzata in interno. Bisognava partire a tutta velocità e poi frenare subito. Alle prove tutto andò bene; ma quando si girò De Sica al momento di frenare sbagliò e spinse l'acceleratore e andammo a sbattere alla parete del teatro travolgendo un praticabile che ci rovinò addosso. Quando Camerini e gli altri vennero a toglierci di sotto i rottami ci trovarono. De Sica e me, che ridevamo come pazzi. « Piuttosto te ne racconto una buffa, che è di molti anni fa. A Torino replicavo con successo, da un mese, una delle mie macchiette. Il giorno prima della serata d'onore, mentre ero dirette dal barbiere mi ferma un signore. — Io sono un vostro ammiratore. — Grazie tanto — dico io. — Sapete, domani per la vostra serata d'onore vorrei farvi un regalino. — Non c'è bisogno davvero che vi incomodiate. — Ma sì: piuttosto ditemi voi che cosa gradite di più. — Scusale, ma ho fretta, devo andare dal barbiere prima di entrare in scena. — E allora vi regalerò un servizio da barba. Vi piace? — Lo ringrazio e me ne vado. La sera dopo entrai in palcoscenico per eseguire, come primo pezzo, la macchietta tante volte replicata, che l'impresario mi aveva fatto mettere per forza nel programma, e che io temevo avesse seccato il pubblico. Difattx mi avvidi che un signore in prima fila dava segni di noia modellando con le dita la sagoma di una lunga e inesistente barba. Diedi l'alt all'orchestra e mi rivolsi al signore: — 1: ho seccato? Avete ragione: adesso ve ne faccio un'altra. — Ma no! per carità, — saltò su quello — c Ri I> volevo dirvi che il servizio da barba ve l'ho lasciato in camerino ». UMBERTO DE FRANCISCIS