Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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m Dal film 'Il Capo d'anno dì Oka' (Sowtiku Kinema) PER il viaggiatore europeo l'anima giapponese è di solito inscrutabile come lo sguardo del bronzeo Daibutsu di Kamakura. Soltanto episodi a prima vista banali svelano talora al forestiero quanto grande sia la distanza tra il modo di vedere e di sentire nipponico e il nostro. Quando ci si imbatte in una di queste rivelazioni improvvise si rimane perplessi e ci si rende conto che l'atteggiamento, convenzionalmente ortodosso agli occhi nostri, degli amici giapponesi incontrati a San Francisco. o a Roma è soltanto un artifizio turistico che essi, con quella capacità di assimilazione formale dell'altrui cultura dimostrata più volte nel corso dei secoli e da ultimo nell 'ishin dell'era Meiji, adottano per compiacere noi barbari, così come nel vestire non disdegnano le nostre incomode foggie, fedeli sempre alla quasi universale saggezza (« paese che vai... ») tramandata dai loro padri, i quali però, forse appunto per questo, preferirono restarsene a casa propria durante oltre due secoli dello shogunato dei Tokugawa. Per penetrare il superficiale occidentalismo degli esterofili e l'istintiva riserva delle anime più spontanee, felice accorgimento è osservare non l'individuo isolato ma il suo 12 comportamento nella folla, alla cui suggestione difficilmente egli sfugge, come attesta anche l'art. 62 C. P. Una delle mie più istruttive esperienze con il pubblico giapponese si svolse a Gifu (pron. Ghifu), piccola città di provincia che, sebbene goda di onorata nominanza per certi suoi docili cormoranti pescatori, non è ancor tocca dallo snobismo occidentalizzante. Entrai nella sala di proporzioni minuscole, dopo aver lasciato al guardaroba le scarpe con la stessa naturalezza con cui in altre longitudini depongo il soprabito. Il direttore del locale, con spontanee manifestazioni di deferenza che non conturbano il destinatario in un paese ove per una curiosa ma commendevole costumanza la cortesia si vuole sia praticata da secoli senza secondi fini, mi scortò ad un posto palesemente onorifico su una stuoia sopraelevata sotto una specie di baldacchino, lasciandomi intendere che un mio biglietto da visita avrebbe costituito ambitissimo guiderdone per le sue premure. Episodi come questo non devono meravigliare o essere sopravvalutati quando si tenga presente che in alcune località fuori mano lo straniero conserva talora vestigia della sua prisca dignità di ospite di riguardo e non può senza offesa sottrarsi alle momentanee esigenze del gran grido che egli leva di sé. Forte di una dura esperienza ispirata al precetto cui l'Accademia del Cimento deve la sua fama, e desideroso di corrispondere alla legittima aspettazione dei miei ospiti, mi sdraiai nella posizione che il genio del Canova previde Paolina Borghese avrebbe con tranquilla rassegnazione sopportato attraverso i secoli. Gli spettatori, stupefatti ma non traviati dal mio barbaro esempio, sedevano con ordine e distinzione sul pavimento, utilizzando l'intero spazio disponibile nella sorprendente misura consentita dalla grande elasticità che le loro membra hanno raggiunto mediante il quotidiano esercizio tra le anguste pareti domestiche e che, riuscendo insopportabile ai prodotti di un diverso ambiente, costituisce uno di quei fenomeni che tanto rallegravano Federigo Ratzel e i suoi più fedeli discepoli. Fortunatamente però i frequentatori delle sale cinematografiche nipponiche si limitano alle figure più elementari di tale ginnastica senza cimentarsi in quelle più ardimentose che raffinatissimi esteti suggeriscono invece per le bellezze panoramiche e che vidi porre