Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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PUBBLICO PABIGINO BIS FILM ROMANTICO FRA I COLPI I>I CAXXOJSTE TRISTE come un arcangelo smarrito sulla Terra, l'eroe del film chiamava le lagrime negli occhi delle spettatrici; dolce come una colomba, con un piccolo corpo formoso vestito di bianco, sempre palpitante d'amore, l'eroina induceva alla tenerezza anche i cuori, come il nostro, più induriti. Si rappresentava Wuthering Heights, il film tratto dal romanzo di Emily Brontè; un film patetico e insistito, tragico e dolente, variato da lucenti paesaggi lontani e da apparizioni di giovanili fantasmi; e una grande tristezza era scesa nella sala, creando un silenzio partecipe, rotto appena da qualche breve sospiro. Eravamo entrati nel cinema dopo di aver cercato nel buio pesto dei Campi Elisi la porta, che un tempo era rutilante di luci bianche e rosse, e ora non si distingue dalle altre che per un fioco bagliore trapelante dal sottosuolo. Il grande viale era nero, percorso da lumini gialli rosso "azzurri come se vi volasse a fior di terra un popolo di farfalle fosforescenti. In fondo posava, nero come carbone, massiccio contro un cielo di seppia, l'Arco di Trionfo. Avevamo prima sostato in un caffè, di solito preferito dalla gente del cinematografo. Stavano seduti ai tavolini rari tipi stravaganti e immusoniti, qualche donna fumava sola e distratta, un gruppo soltanto di intellettuali esotici parlava ad alta voce come se litigasse, forse illudendosi di ricreare la frenetica atmosfera di una Cinelandia ormai ridotta a qualche sperduto isolotto. Ma quella falsa febbrilità era più scoraggiante di quella vera, e perfino i camerieri — abituati al peggio — parevano irritati di dover servire gente così estranea al clima (tuttavia ancora indefinibile) di questa guerra. Nell'atrio del cinema ci avevano dato un foglietto dove era indicata l'ubicazione del rifugio antiaereo. Soltanto un vecchio signore, che portava la maschera a tracolla, lo guardò con attenzione, lo piegò accuratamente in quattro e se lo mise nel taschino del panciotto. Era certo uno di quei commoventi cittadini, sempre più rari, che si ostinano a dare il buon esempio. Degli altri spettatori, chi arrotolava il foglietto fra le dita, chi ne faceva una barchetta o un cappelluccio, chi semplicemente lo lasciava cadere appena entrato nella sala. Ma non si creda per questo che il pubblico fosse frivolo o noncurante. Entrati anche noi, trovammo già seduti nelle poltrone molti uomini seri e maturi, qualche ufficiale assorto, e moltissime donne sole, di tutte le età, ma tutte egualmente silenziose e composte. Come ovunque a Parigi avevo potuto notare, anche durante gli spettacoli (e perfino in quelli — vagamente ripristinati — di cosiddetta « varietà »), regnavano una pacatezza, una docilità e una parsimonia di gesti e di parole che parevano aver distrutto in qualche settimana la leggenda da secoli creatasi intorno alla moderna Babilonia. Mentre si svolgeva il film, e più straziante era la voce della colomba d'amore, e più triste si faceva lo sguardo dell'arcangelo, s'intese come un rombo lontano di temporale. Nessuno parve accorgersene, ma il rombo si rinnovò, si ripetè, diventò più vicino e affrettato come se qualcuno, forse un inquilino nevrastenico, battesse dei colpi sul pavimento del piano di sopra. Non ci poteva essere più dubbio, erano cannonate. Certo tutto il pubblico se n'era. reso conto, ma non ci fu nessun segno che lo dimostrasse. Non ci chiedemmo neppure perchè le sirene non suonassero, sapendo che i cannoni potevano cominciare a sparare senza che fosse dato l'allarme. Non s'intese un colpo di tosse né uno scricchiolio di sedia. L'attenzione, anzi, si fece più intensa; e noi stessi eravamo più affascinati dalla tristezza della vicenda svolgentesi sullo schermo, che non incuriositi da quel che avveniva nel cielo della città. Dopo una pausa, i colpi si ripeterono più fitti e più vicini. Una musica continua e mormorante come lo scorrere di un ruscello 42 M