Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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COLLOQUIO CON JEAN RENOIR MEDITERRANEO U — Jean Renoir ragazzo, in un ritratto dipinto da suo padre Pierre-Auguste JEAN RENOIR siede accanto a noi al tavolo di trattoria e parla comunemente di vini, di cucina, delle cose normali di tutti i giorni. Siamo andati a prenderlo al suo albergo dove ci è venuto incontro giovialmente con quel suo viso aperto e sincero, dichiarando la sua soddisfazione di passare la serata con noi, così alla buona e di discorrere un poco non solamente di lui e del suo particolare lavoro, ma principalmente del cinema in genere, in uno scambio di idee che può essere utile a tutti. Lo osserviamo mentre sta parlando con quelle sue frasi brevi e concise che tratteggiano in un modo sempre elegante e ricco il suo pensiero. Parla a tutti; in una costante mobilità inaspettata .nella sua fisionomia quasi bonaria, egli si volge ora all'uno ora all'altro di noi, e mentre ci espone le sue idee par quasi che c'interroghi, che attenda qualcosa da noi. Confessiamo che quando lo accostammo eravamo un po' preve nuti. Le tante notizie contradittorie su di lui, sulla sua vita, sulle sue concezioni, che ci erano giunte contemporaneamente a quelle sui suoi film, i climi delle rare fotografie di questi ultimi, avevano contribuito a crearci il cliché di un Renoir, malato di intellettualismo, di facile raffinatezza, non priva della morbosità ormai solita a certa produzione straniera. A vederlo così come egli è, ad ascoltarlo soprattutto parlare, sentimmo che i nostri sospetti erano infondati e che l'aria che alcuni avevano ed hanno voluto creare intorno a quel regista era del tutto arbitraria e superficiale. Per la strada ci aveva detto che era la prima volta che veniva in Italia e che anch' egli aveva avuto dei pregiudizi che l'esperienza della sua vita romana andava ormai distruggendo. « Qui, in questa aria, tra questa vostra gente sento che veramente io ho trovato quello che da tanto cercavo: la materia per un gran film », aveva concluso. Al tavolo della trattoria il suo ragionare era partito decisamente da questo punto. u L'Italia materia per un film? » diciamo noi. « Ma in che modo, in che forma, voi vedete questa possibilità? » Ripensiamo alla bète humaine, ai climi nebbiosi dei suoi film di operai, al mondo tragico e tetro che siamo usi accostare al suo nome, e temiamo che la risposta ci riveli una sua visione alterata anche del nostro paese, qualcosa che ci dispiacerebbe di sentire. Ma Renoir non ha forse neppure dubitato un istante dei nostri pensieri. ti Dell'Italia come la più tipica rappresentazione del mondo mediterraneo », risponde. E continua: « Perchè ciò che è necessario, ciò che si deve fare è una cinematografia mediterranea » . Ci accorgiamo ora che dietro a quest'uomo, dietro ad ogni sua creazione esistono dei motivi, delle necessità, esistono soprattutto delle lunghe convinte elaborazioni che gli hanno preparato il terreno. In una parola egli deve sapere a perfezione ciò che ha da dire, e a questo unico patto si accinge all'opera. Quando ci aveva detto : <( Da mesi io penso il modo di ridare tosca per la Scalerà, e ancora forse per molto tempo ci penserò », aveva inteso questo. Nella sua mente, nella sua concezione di artista, ogni suo gesto d'arte deve entrarvi giustificato, rispondente a un principio. Dopo che ebbe detto « cinematografia mediterranea » ci guardò tutti in attesa di assentimento. Lo invitammo a continuare : « nel primo cinema svedese, egli disse, e in genere in tutto quello nordico, l'americano compreso, il motivo costante che ritorna, che io vado riconoscendo con sempre più forte convinzione, è la concezione protestante-puritana. In sostanza per diecine dianni noi ci siamo nutriti di un cibo non nostro e che ci ha attratto con elementi puramente esteriori, ma che avevano il sapore della novità del non conosciuto, e che perciò ci attraevano sempre di più. In una parola abbiamo abboccato all'amo. Pensate alla vita di quei personaggi, ai loro movimenti, alle loro stesse figure fisiche. Il « tipo » che ormai il nostro pubblico ha preso a modello ideale, è una figura, che moralmente non ci appartiene, anzi ci è naturalmente nemica. La spregiudicatezza, quasi la libertà dei loro atteggiamenti, è come la patina che invita, un po' come il lato dolciastro e pericolosamente attraente che nasconde la verità. Al fondo la rigidità puritana, si scopre per chi sa individuarla, con tutto il suo crudele e freddo contenuto. E intanto noi assistiamo al lento sovrapporsi di un costume straniero, sul nostro tradizionale e caldo mondo cattolico. Noi popoli latini, vestiamo alla loro maniera, parliamo alla loro maniera, tentiamo di vedere l'intera realtà che ci circonda alla loro maniera. Di tutto questo io mi sono accorto e intendo, coi mezzi e con le possibilità che mi sono state concesse, farvi fronte. Alla cinematografia protestante noi dobbiamo opporre una cinematografia latina, una cinematografia cioè che ridia noi a noi stessi e che porti la nostra vera vita nel mondo. In Francia ho pensato a lungo, per anni, a tutto questo e le mie ricerche di paesaggi e di tipi, di costume soprattutto sono state moltissime e tutte fruttuose. Ma io non conoscevo ancora l'Italia. Purtroppo anzi, non ho timore a confessarlo, avevo dell'Italia un'idea diversa ed errata. Da quando ho messo piede nel vostro paese ho immediatamente sentito che soltanto qui io potrei rea 90