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Un mondo che ai profani pare possa rivaleggiare col paradiso delle Uri è quello del cinematografo.
— Che gente allegra e di spirito! Come devono spassarsela bene! Che vita splendida! Che amori! — si sente dire dappertutto.
E l'invidia — una invidia benevola — fa luccicare gli occhi, e pare che le bocche che pronunciano queste parole siano piene d'acquolina.
Certo è che gli agenti di pubblicità, sia delle case che dei singoli divi, si sono dati un gran daffare per far sfilare agli occhi del pubblico una ridda di milioni di dollari, di gioie celestiali, di gaudî immensi.
Sarà, ma...
La verità — la verità vera — è che questa brava gente vive una vita di grandi fatiche. Fare l’urtista da cinematografo non è una cosa facile. e lo può dire anche la recente morte del povero Lon Chaney, deceduto in seguito ad una infermità acquistata a causa dei troppi sforzi compiuti. E molti altri muoiono per gli stessi motivi, senza ricordare quelli che devono soccombere in seguito ad accidenti avvenuti sul lavoro, tentando, spesso, imprese azzardatissime.
IL lavoro che fanno è durissimo. A volte, il povero Lon Chaney impiegava tre o quattro ore a truccarsi — questo succedeva quando rappresentava Quastmodo in « Néire Dame » — e poi doveva tenere tutto quel po' po' di trucco, comnpresa la stuccatura che gli deformava il corpo, addosso per otto o nove ore, ed anche più. Il lavoro normale, d'altronde, spesso dura dalle nove del mattino alle sette di sera, con solamente un breve iutervallo per la colazione. E l'intervallo è di pochi minuti, durante i quali si ingoiano un paio di panini imbottiti o un'insalata, al buffet dello studio.
Joan Crawford, che pure è giovane e robustissima, pochi giorni fa ha dovuto rivolgersi ad un medico, temendo di dover cadere in un grave esaurimento nervoso, ed ha raccontato al dottore, che me lo ha riferito, come durante l'ultima pellicola da lei interpretata — che non è ancora în programma — abbia spesse volte lavorato dalle nove del mattino fino alla mezzanotte.
Pazienza quando si lavora all'aria aperta, allora si respira e c'è almeno quel compenso, ma quando si lavora nello studio, sotto i violentissimi raggi delle lampade, tra la polvere, ci si sente sfinire dopo poche ore.
Ho visto, una volta, Constance Talmadge, che mi onora della sua amicizia, girare un film, o meglio detto, una scena di un film. Era una cosa brevissima. Più che una scena, era un gesto. Doveva ella, con un gesto e una espressione di altesa, o di ansia, avvicinarsi ad una scala da cui scendeva un giovane signore.
Ebbene: la povera Constance, per accontentare il suo direttore, dovette ripetere la scena centoventisette volte! C'è da morirne esauriti, non è vero? Anche se c'è l'orchestrina che riconforta 0 che... fa venir voglia di mandarla al diavolo.
Come volele dunque che questi poveri astri del nuovissimo firmamento possano, alla sera, ritrovarsi nei caffè, nei teatri, nei luoghi dove si balla e mostrare un brio indiavolato?
Vanno a lelto, non uppena lo possono, ve lo garantisco io, come vi garantisco che non hanno nemmeno, a volte, il tem
Sopra e sotto: Ballata delle Bambole, della Cines, con Grazia Del Rio.
po o la voglia di fare quei pochi minuti di ginnastica da camera che è, per gli americani, cosa necessaria, e che essi compiono seriamente quasi fosse un rito.
D'altra parte succede anche un fatto che li rende poco adatti a comparire in società, ed è questo. Costretti a lavorare non già dinnanzi al pubblice ma in una ristretta cerchia di compagni di lavoro. perdono il contatto colla società, e quando vi si ritrovano hanno l'aria di pesci fuor d'acqua. É
È da nuotare anche che spesso, questi artisti, sono tutt'altro che gente di mondo, e la loro spigliatezza sullo schermo è dovuta alle indicazioni del direttore. Inoltre non sono essi quali il pubblico, che lt vede nei loro lavori, li giudica. Un famoso giornalista inglese, Hannen Swaffer se ne lagna, anche, in un suo articolo, brillante e caustico, pubblicato dalla bella rivista londinese Tit-Bits.
Dice, Swaffer, che le più grandi delusioni della sua vita le ha avute conoscen
do attori del cinematografo, specialmente quando dovette constatare che «Fatty» Arbuckle non era grasso, e che Douglas Fairbanks è di statura quasi inferiore alla media. Anch'egli è dell'opinione che il vero valore degli artisti risieda nel direttore, e cita, a corroborare lu sua apinione, D. W. Griffith, uncora il più grande direttore che l'arte muta abbia avuto, il quale dichiarava che avrebbe potuto far fare la parte dei suoi artisti da qualsiasi scimmia!
Un'altra volta il nostro giornalista conobbe Pauline Fredericks, un'altra Gloria Swanson: tutt'e due gli parvero tremendamente impacciate, specialmente Gloria che si sentiva terribilmente a disagio, attorniata com'era da una decina di reporters che le muovevano delle domande cui ella rispondeva del suo meglio. Dice, anzi, che i reporters devono essere stati altamente stupiti quando, al mattino dopo, hanno visto che tutte le visposte da essi annotate erano state pubblicate, tanto alcune erano insulse.
Le stesse impressioni di mediocrità le ebbe vedendo Ernest Torrence e Ronald Colman e Marion Dawies e altri ancora.
Gli unici che gli piacciono, nell’intimità, sono Charlie Chaplin, Al Jolson e Ivor Novello, e non ha torto, sono tre gradilissimi compagni.
Per finire, questa volta, vi dirò una cosa che conforterà i lettori che credono ciecamente nell'arte muta. Questa ha veramente fatto del bene a Los Angeles. che essendo la Mecca di tale arte, ha raggiunto una popolazione di un milione duecento trentunmila e settecento trenta ubitanti! Dove, trent'anni fa non esiste: va che una cittadina di quaranta o cinquanta mila abitanti, sorta du un villaggetto indiano. fondato dai primi cappucciniî spagnuoli missionari che visitarono la California. oggi si eleva una possente metropoli moderna, cui tutto il mondo guarda con invidia, centro di una delle industrie che maggior numero di milioni assorbono e niaggiur lavoro danno a gente dei più svariati mestieri.
Quello di Holliwood