Cinema Illustrazione (July 1934)

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CANDIDATI AL CINEMA L’AMENO Andavo dicendo da un pezzo che l’Italia aveva un mimo, forse un grande mimo: Totò. Mimica e coreografica mi pareva infatti la sua vis comicu: e in quell'attributo vedeve la rara, rarissima originalità di questo attore fantomatico, il quale — non l'avete notato mai?.-—— riesce comico avendo uno stampo tragico. È non più l'uomo, ma lo spettro che ride, Qualche cosa che viene dal mondo delle larve, diretto al mondo delle burle, Egli è il lemure saltante e danzante d'un racconto d'Hoffmann o d'un sogno dd’ebbro. E le gai revenant della ballata victorughiana, Quel pallore, quello stupore, quello scavato viso, quel corpo fantoecesco, privo di carne, e le cui ossa s'immmaginano attaccate a dei filì, quel procedere a scatti e strappi, quegli sporgenti occhi e quel flettile collo, di cui gli uni sembrano appartenere a un batrace, l’altro a un barbagianni e questo e quelli @ un quadro di streghe, non si direbbero certo ameni per definizione. Eppure scatenano l'ilarità, per un prosesso che in parte si spiega, in parte rimane misterioso. Anzi si può asserire che, în un certo senso, Totò è per sua propria, essenziale virtù il più lepido fra tuttì gli attori comici della penisola, Non ne conosco altri, fer mio conto, cui debba di primo acchito un'irresistibile disposizione a smemorarmi ed esilarammi, Per ciò io ardisco mettere Totò, senz'allro, in linea ‘coi grandi attori grotteschi dello schermo americano. IL suo pallore è quello di Keaton, la sua magrezza quella di Laurel, il suo automatismo quello di Charlot, la sua stranezza fra burattinesca e demente quella. d'un altro sommo attere transatlantico che l'italiano non conosce abbastanza: Harry Langdon. Come . OCCHI DI BUSTER KEATON SPETTR Langdon, l'interprete dei Tre moschettieri e de La banda delle gialle, realizza, 4 tratti, l’immagine d'un Pierrot, almanaccante e sublunare, caduto giù da una tregenda a far sue smorfie nel mondo dei viuì, ‘ Totò apparirà presto sullo schermo, e si vedrà allora come la sua arte espressiva sia prevalentemente e potentemente pantomimica. Per ciò soltanto ho voluto parlarne da queste pagine, Se l'Italia avrà mai il suo film conico, questo, che fu sinora per noi la più lontana delle chimere, ma che oggi vuol essere tentato con fermezza da alcuni giovani cineasti d'ingegno e di volontà, non potrà avere come sua maschera principale che la maschera d'un simile altore, tramandataci intatta delle farse atellane traverso le gloriose esperienze di Pulci nella,» ; Totò è nostrano, paesano al cento per cento: né si può rivedere la sua faccia piedigrottesca senza immaginare quelle che dovettero essere, « invase dai Numi », le vecite di quegli antichi mimi saltanti sugli otri e stridenti. agli echi del circo che em- pivano di pazze risa il cielo di Partenope. Dalle testimonianze dei vasi atellani a quel. le del teatro San Carlino, la fantomatica comicità di Totò, salente per iperboli vertiginose dalla più semplice smorfia ai parossismi della caricatura, dallo sgambetto volgare alla danza in ritmo perfetto, dall'oscénide qualunque a una vera e propria ebrietà dionisiaca, ad aberrate ma mirabili trasfigurazioni; da quelle testimonianze centenarie e millenarie appaiono, secondo me, documentate tutte le fonti elementari del | l’arte sua: la bazza, gli occhiacci, la. scat tante magrezza, il collo svitato ed cllun» gabile; ©, quindi, il luzzo erompente, la sgambata epilettoide, l’enormità detta con un supplice sguardo, la sozzura mobilitata .da una specie d'inconscia, attonita serietà. Tutto ciò è molto mediterraneo, mollo popolare e molto antico. E, finalmente, molto cinematografica. Il fatto visivo è infatti tutto, 0 quasi tutto, nelle recite di Totò; rappresentazioni che non potrebbero certo essere gustate da un miope, Non dimentichiamo che la comicità napoletana, per spuria che sia divenuta, rimone figliuola della tarantella. La « 201mpata » permane alla base del suo dinamismo infantile, così innocente e così insolente. Una specie di convulsione, che la felicità degli spiriti riconduce volta per volta in ritmo, ne palesa l'interno fervore vulcanico: vibrazione tutta solare, come il trillo del mandolino o il frinìo della cicala. In Totò questa convulsione è la vita stessa. E in Totò essa prende, impensatamente, grazie di toni e giustezze di cadenze che pos sono riuscire un incanto, oltre che ‘un divertimento. All'improvviso, ecco che la sua comicità è danza. E danza esalta e completa, in cwi tutti gli spiriti pazzarielli di quella larva d'uomo, di quel burattino dal volto di resuscitato, sembrano darsi la mano in una ronda ch'è al di là d'egni logica, al di là d'ogni prescritto, sia nascendo da una improvvisazione, da un'insurrezione che, vevamente, è dionisiaca, tutto esprime e chiarisce, riassume e conclude. Fatto visivo, ripeto. E, dunque, cinematografico per eccellenza. Le parole, per Totò, quasi non contano. Poche ne pronuncia; e, si direbbe, smorte e scarne come lui. La voce, rauca e stranita, non è che un'eco di voce. Non viene egli dal regno delle ombre; non è il lemure perduto fra i vivi; non è l'atomo semovente caduto in terra, come Cyrano de Bergerac, da un pulviscolo stellare? Si direbbe, a volte, ch'egli neppure capisce quello che vede e che ode. E in lui UN ASSenza, più ancora che un'incoscienza. E allora le sue parcle, pronunzinte quasi autonaticamente, quasi non consistono. Esse non gli appartengono né ci appar tengono, La sua presenza fra gli altri attori è casuale. Il suo è il monologo d'un matto fra gli specchi. Allora, fra stupito e compiaciuto di sé, comin cia con delle sillabe; e fini sce: con una piroetta. Il matto sì riconduce al caos. Il funtasma si ritrova nel cosmo: da cui è caduto. Si faceva l’altro ieri, a caffè, un paragone fra Tui è Keaton, tra lui e Charlot, Charlot, dissi io, vuole stare nellavita d'accordo con il sogno; Keaton d'accordo con la legge.Totò, matto completo, non vuole è non può starci che d'accordo con la natura, E non appena natura lo richiami, eccolo alteggiarsi ai modi di quella dansa cui ogni cosa naturale obbedisce, dallPaitomo alle stelle. Allora che Totò, nei Tre Moschettieri, finisce in mi sura di balletto il suo duello con le guardie del Cardinale, e poi due ne ammazza pistolettate, arrivando loro alle spalle in tempo di gavotta, l’ilarità.che ci prende ha veramente qualche cosu d'esaltato,che ci avverte come in quella comicità sia la presenza d'una lex ri salente alle origini, Sarà interessante, domani, veder rivivere nello schermo questo speliro senza tragedia, Pulcinella senza maschera, automa senza fili. Marco Ramperti