Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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matografo? » mi chiese ad uri tratto l'attrice, (i Io sto per realizzare un progetto, e tu forse puoi essere l'uomo che mi occorre. » e Ma io... » protestai stupito. Bianca Virginia Camagni sorrise, troncando le naturali obiezioni che stavo per fare. << È qualche tempo che ti studio, e sono convinta che tu ci riusciresti. Dieci giorni in un teatro di posa ti basteranno per impossessarti della tecnica del mestiere: tu non sei un idiota come tutti i cinematografari, hai delle idee, del buon gusto. Fra qualche giorno lavorerò in un film alla FERT. Vieni con me. Ti farò assistere, col permesso di Fiori, poi riparleremo del mio progetto e della mia proposta. » Bianca Virginia Camagni, che molti ricorderanno ancora, era una bionda donna lombarda, e ciò spiega le doti quasi maschili di praticità e di energia ch'ella possedeva, oltre alle altre femminili che facevano di lei una incantevole e mutevole creatura. Non sortiva, come tutte le attrici di quel tempo, da una portineria o da una cucina, ma aveva ricevuto una educazione raffinata, parlava diverse lingue, era pianista delicata e sensibile, aveva viaggiato l'Europa, amava la compagnia dei letterati e degli artisti, artista lei stessa, inquieta, sfa villante di bellezza e di talento. 11 cinematografo l'aveva attirata, ma saltuariamente. Ogni volta ad allontanarla da quest'arte era stata la repugnanza di dover sottomettersi a gente che per ingegno e cultura era ben lontana da lei, nulla di più naturale quindi che con tante possibilità proprie ella ambisse a fare da sola dei film, a creare, come allora si diceva di coloro che di un film non erano solo gli interpreti, ma gli autori e i registi insieme. Andai alla P"ERT, strinsi molte mani di attori e di direttori, e per una diecina di giorni fui spettatore attentissimo e curioso della messa in scena di un film, la donna perduta di Guglielmo Zorzi. Quel genere di lavoro mi piacque subito, ma benché fossi profano, alla fine del mio tirocinio avevo afferrato le ragioni per cui i film americani apparivano superiori ai nostri, e l'entusiasmo con cui B. V. Camagni accolse le mie osservazioni mi persuase d'essere nato per quel mestiere. Terminati i suoi impegni con la FERT, l'attrice si dedicò al suo progetto, nella realizzazione del quale i miei compiti si confondevano con quelli ch'ella s'era riservata. Secondo la terminologia odierna, io ero quello che gli americani chiamano il produttore associato, e la mia nomina a tal posto dopo una esperienza di appena dieci giorni parve straordinaria solo a me. Si vede che, forse, la vocazione mi doveva trasparire dal volto. Nell'appartamento dell'attrice in Via Porta Pinciana due stanze vennero riservate agli uffici, e qui incominciarono presto le interminabili conversazioni con due altri personaggi che erano venuti a completare lo stato maggiore della nascente casa : il direttore amministrativo e il segretario di produzione. Il direttore amministrativo si chiamava '...Diana Knrenne si era arresa mille volte...' Giuseppe G.. era un uomo sulla quarantina, alto, forte, energico, con un gran naso aquilino, un occhio velato e un po' guercio, il braccio sinistro anchilosato da una paralisi infantile. Sembrava competentissimo, e conosceva tutto il mondo cinematografico romano. Anch'elfi, come tutti del resto, aveva fiele cieca nella vitalità dell'industria, incannato dal gran fuoco di paglia nel quale essa invece stava consumandosi. 11 segretario, da lui proposto, era un giovanotto, alto, smilzo, cresputo e nero di capelli e d'occhi, compitissimo e servizievole, che rispondeva al nome di Sxx. Qualche giorno dopo fu assunto l'operatore, un aiuto di Montuori, ch'egli ci aveva segnalato come il suo migliore allievo. Era un biondino, grassoccio, che diede subito prova della sua abilità con alcune pose fotografiche dell'attrice, buone, a dire il vero. Mentre B. V. Camagni con l'amministratore badavano alla scrittura degli attori e all'affitto del teatro di posa, chiuso notte e giorno nella mia camera d'albergo, durante due settimane stesi la sceneggiatura del film, sulla trama che l'attrice stessa aveva ideato. Era la storia di una ragazza che una serie di tragici casi faceva sembrare quello che non era, una incompresa, e come tale perseguitata dal destino fino alla morte e oltre, poiché finiva sul marmo di un obitorio, non identificata : incompresa in vita e sconosciuta in morte, sconosciuta fu infatti il titolo del film. A parte tutto, la vicenda filava, snodandosi su situazioni le quali avevano qualche rilievo e contrasto di effetti drammatici, che cercai di sviluppare nella mia sceneggiatura. Il primo attore prescelto fu Alberto Collo. Egli era in quel tempo un attore prediletto dalle fanciulle, non ho mai capito perchè, forse per una smorfietta tra lo scettico e il canzonatorio, ch'era la sola espressione che s'imprimesse sul suo volto ben nutrito di ex garzone macellaio. Comunque era in voga, ed era l'unico attore che si trovò libero in quel momento. Man mano che i preparativi avanzavano, la nostra febbre saliva. Parlo di febbre, poiché l'entusiasmo che ci animava aveva scaldato le nostre fantasie fino al delirio. Vedevamo già il film, sebbene ancora un metro di pellicola non fosse stata girata, a parte quei pochi per i provini, eseguiti in una terrazza, e naturalmente vedevamo un capolavoro, nel quale ogni particolare era ammirevole ed eccezionale. Non ridiventai lucido che il giorno in cui, nel teatro di posa della Guazzoni Film, mi trovai dinanzi a quattro fondali di tela, ad un tappeto, pure di tela, a scacchi bianchi e neri, che voleva imitare un pavimento di marmo, con le quali cose avrei dovuto ricavare il primo ambiente, ch'io avevo veduto nella mia immaginazione come un bel salone tappezzato di damasco, con arazzi fiamminghi, un ampio camino di marmo, un pavimento alla veneziana seminascosto da tappeti persiani, e divani, poltrone, sedie, tavoli, mobili di un aggraziato '700; un bell'interno ricco, comodo, che doveva, dare il senso d'un luogo abitato; qualche cosa di diverso da quelle mostre da vetrina di mobiliere che nei film dell'epoca tenevano il luogo di interni, con le pareti che si gonfiavano come vele se un attore sospirava, o che si scuotevano come ad un terremoto quando una porta si chiudeva: ma come fare? Se nel teatro di posa della Guazzoni Film non c'era che il materiale scenico che ho detto, nei sotterranei di ("agiati o nella galleria Salvadori, ove allora si noleggiavano i mobili, c'era poco da scegliere tra la camera in liberty brianzolo, ove avevamo visto cento volte Francesca Bertini spogliarsi, lo studione '500 con le librerie a vetri cattedrali e le savonarole, ove Amleto Novelli scriveva lettere fatali, il salotto Luigi XVI dorato di Cantò, ove Diana Karenne s'era arresa mille volte a seduttori come Tullio Carminati o Capozzi, e la borghese sala da pranzo in mogano, dove la dolce Maria Jacobini sorrideva tristemente agli infedeli mariti tra una cucchiaiata e l'altra di minestra di cavoli. '1 Bisogna arrangiarsi! >< osservò l'amministratore, ci Del resto questa è la roba che adoperano alla U.C.I. e alla FERT. >> Era una ragione, e mi rassegnai, accontentandomi di far ammattire il segretario a correre Roma in cerca di alcuni elementi di termosifone : unica affermazione dei miei criteri di una messa in scena realistica che mi fu possibile di attuare. (continua) TITO A. SPAGNOL 28=