Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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IL RIDICOLO DEI MODERNI f„C0T %pmM'faT0^ Td,ere lJT telh De Rege contenti delle loro pellicole? Dissi: MILIZIA TERRITORIALE, GLI ALLEGRI MASNADIERI, LASCIATE OGNI SPERANZA, L'ALLEGRO CANTANTE; mi risposero: « Brutta tobu, non ci pensiamo più ». Poi continuammo a parlate. Ma io pensavo — mentre loro dicevano: « Non abbiamo mai trovato uno scenario adatto al nostro temperamento »; pensavo che il comico dei classici sta nelle cose, e il ridicolo dei moderni nelle parole. Quelli partivano da una cosa comica e internamente comica, questi sfruttando un labile giuoco di paiole, s'attaccano ad una balbuzie il più delle volte mentale, il ritardo della risposta, l'equivoco, l'allusione: così i primi erano solidi, duraturi e i secondi sono legati al soffio d'un labile ricordo. Eravamo in un camerino troppo piccolo, in Ire a fumare e i De Rege (or l'uno, ora i'allro) volevano spiegarmi quali differenzi siano tra l'umorismo cinematografico, quello giornalistico e quello teatrale; ma io pensavo: » Al di là della battuta, che sale vi mettono? ». Forse, come sempre, offrono al pubblico la facile garanzia di non essere tonto. (Ecco il disappunto di chi non riesce a intendere il segreto d'una battuta). Sono in due. loro: e uno fa « l'intelligente ». l'altro lo « stupidello », voglio dire che il primo realizza le velleità dei furo: clic stanno a sentire. Ognuno compie, diff ormata nel riso, una sua piccola vendetta, mortifica sa ben lui citi nella persona di De Rege stupidello. « Noi vorremmo una scenario scritto per i nostri due caratteri » mi dicevano; « con una vena sentimentale ». Ma io pensavo a quella ineffabile vena poetica che dovrebbe far di loto non la caricatura di un tipo (il prepotente e l'impacciato, il sicuro di sé e ii leggermente tocco), ma quella di un sentimento: cioè non comici con una sene di tipiche convenzioni già sin dall'inizio, ma comici a poco a poco in una situazione normale. lo avevo finito di fumare la mia sigaretta e i De Rege non erano contenti della loro esperienza cinematografica. Quello che fa « l'intelligente » diceva: « Desidereremmo una pellicola di complesso, cioè non essere soli, ma avere attorno altri ottimi attori, ognuno nella sua parte, nel suo ruolo », ma io pensavo che ai molti maneggioni dell' umorismo continuamente sfugge la vera essenza del comico, il quale, perchè lasci segno deve cadere sopra qualcosa d, serio e di importante. In fine dei conti i nostri comici faticano e faticano per scaricare su se stessi quelle sfumature ridicole che hanno sapulo creare, o che creano di battuta in battuta: sono autolesionisti della comicità, e la comicità resta sempre in loro, non fa mai diventare cotnico un modo di vivere, oppure una cosa della vita. Cosi non devono avere pretese; allora avanza, con certi suoi effimeri diritti, il clown. Poi mi alzai in piedi perchè stando seduto non potevo allungare le gambe. Uno dei due De Rege mi diceva: « Aspettiamo venga qualcuno con un bel lavoro. E ce In avevano anche dato, era la satira di tutta la città ne parla, e si intitolava I utta la città sta zitta, però non se ne fece nulla »; ma io pensavo a queir episodio che Giacomino raccontò, una volta, ad Adolfo Franci. « Mi avete mai visto quando ini metto a piangere a dirotto perchè mi han buttato per terra il cappello? » gli disse Giacomino una volta. « Quel pianto mi fu suggerito da un bambino che piangeva veramente, in teatro. Allora mi misi a piangere anch'io, ma per burla. Sentendomi piangere a quel modo — con quella voce — il bamibino c De Rege 3 smise di botto il suo pianto e sorrise ». A me pare di sapere in che cosa consista la sottigliezza d'un ultore comico. ENRICO EMANUELLI c Tota } IL NEMICO DEI RIFLETTORI EZJZZZlL ttZ%£ tra Civitavecchia e Viterbo e che lo avremmo trovato appunto quel lunedì al teatro Unione di quest' ultima città. Totò sembrava addii itlura irreperibile; per quanti sforzi facessimo egli inconsciamente riusciva a sfuggirci. All'albergo risultava essere regolarmente in teatro, in teatro al caffè, al caffè di nuovo all'albergo. Scoraggiati ci aggiravamo su e giù per le stradine profonde e strette, quando un rombo di automobile ci annunciò nella calma del lu-igo che qualcosa di nuovo si era prodotto. Infatti Totò del quale tutti davano notizie tendenziose era proprio allora arrivato. Ci ricevette sotto una luce fioca dietro le quinte del teatro, contornato da una folla di belle ragazze e si spenzolò da dietro un tavolino salutandoci mentre con quel suo viso tutto d'un pezzo restava in attesa delle nostre domande. La testa ci turbinava tra visioni di castelli e di medioevo, di cartelloni e di polverosi camerini quando egli con convinzione disse: « Nel cinema la cosa scocciante sono i riflettori. Perchè i riflettori, vedete », prosegui, « i riflettori incocciano, e io, io ho i capelli neri e lucidi e allora è un disastro ». « Poi l'attesa è snervante; quando si fa del cinema sembra che l'attesa, e il bello è che non si sa che cosa si attenda, rappresemi la parte più importante e necessaria del lavoro ». « In sostanza non siete contento allora di fare del cinematografo ». Totò sembrò allora esser punto sul vivo. Allungò smisuratamente quel suo collo elasticissimo, spostò il volto nella sua tipica posa asimmetrica e, « chi lo ha detto? » disse, ci Ma ci sembra », proseguimmo, « ci sembra che dalle vostre affermazioni... ». « Chi io? » riprese, u lo sono entusiasta del cinematografo, purtroppo non così dei miei film ». « E allora? ». « Allora, riprese, secondo me dei ritocchi andrebbero fatti all' organizzazione per guadagnare tempo e col tempo tante altre belle cose ». » Ma vedete, proseguì, in fondo il mio grande amore è ancora il teatro. Mi dovete credere », e si alzò sulla fronte il cappello e accentuando con mosse delle mani il suo dire, u le più grandi soddisfazioni è stato il teatro a darmele e sapete perchè? perchè il teatro è molto ma molto più difficile del cineuiatografo e quassù, su queste tavole giochetti e finzioni non se ne possono fare ». D'improvviso s'accese un riflettore e ci colpì in pieno. Gli altri intanto aspettavano. Totò si alzo di scatto, sorrise. « Scusate, sapete com'è, c'è la prova: venitemi a trovare a Roma a casa mia quando ci sarò, parleremo più a lungo e lontani da queste finzioni». _TTT„____, 1 ' r ii GIUSEPPE ISANI UN MILIONE E OTTOCENTOMILA — Che volete? disse Taranto posso dire che il cinematografo m'abbia dato molte soddisfazioni. Perciò ho pensato di risolvere da me la situazione. Faccio dei film e li proietto in teatro durante il mio spettacolo. S'era in un camerino del teatro Alfieri di Torino. Taranto indossava una vestaglia pesante di color marrone: gli dava un'aria da signore distinto, sbattuto e amareggiato dalla vita. — Siete proprio convinto che ii cinematografo >'",. v'abbia dato molte soddisfazioni? — obbiettai Mi sentivo il cuore aperto e buono, da paladino. — Avete interpretato tre film; altii due, a quel che si sa, sono in progetto... Il pubblico ha accolto con schietta simpatia le vostre interpretazioni. — Non lo nego, non lo nega nessuno... Pero... Ci guardammo. Quello sguardo bastò, gli occhi di Taranto e i miei si poggiarono insieme sopra un medesimo schermo ideale sul quale si proiettava il film della produzione italiana, un « giallo » con dei signori dalle idee fisse e degli intoccabili galli i quali debbono essere ad ogni costo dei protagonisti perchè si dice che fanno cash — termine importalo dal mondo cinematografico americano e che significa « cassetta »... Il « però » non ebbe seguito. — Non mi importerebbe nulla, naturalmente, di fare dei film con più personaggi di primo piano, purché abbiano ciascuno un ruolo bene sviluppato e definito. — Scossi la testa. — Badate bene, — continuò poi Taranto, — ciò che v'ho detto lia un carattere generale perchè per il resto io sono stato bene, non ho trovato difficoltà ud ambientarmi. Col regista ho lavorato in amicizia. Quella specie di faccia tosta che si acquista nel teatro di varietà e di rivista mi ha aiutato a meraviglia... Qui gli dissi che credevo veramente che il teatro di varietà e di rivista può essere utile al cinematografo più di quanto non si pensa. Ne fu visibilmente soddisfatto, ma volle ancora precisare che non era stalo lui a dirlo. Non voleva avere l'apparenza di tirare l'acqua al proprio mulino. Si venne di nuovo a parlare dei due filtri che dovrebbe interpretare per la produzione Manenti. — Non ne so nulla. Credo che si stia studiandone la trama. Ad ogni modo l'ho ben detto: film comicosentimentali. Più comici che sentimentali, e anche quando sentimentali, sempre con quel guizzo comico, con quella sfumatura ironica che può fare al mio caso. — S'interruppe. S'alzò in piedi e fece nervosamente i quattro passi che gli erano consentiti dal camerino. — Accidenti, però, — disse all'improvviso. — Non mi è ancora capitato chi ha il coraggio di spendere un milione e ottocentomila lire per farmi fare il protagonista di un film come è capitato ad altri attori di varietà e di rivista... — C'era con me un amico milanese. Aveva ascoltalo loquio con aria indifferente, senza interesse. Rizzò le. orecchie quando sentì parlare di cifre. — Questo è il punto!... — esclamò. Del cinemat come a molti della sua mentalità, non interessano che le cifre. c Taranto ) tutto il colografo, a lui DOMENICO MECCOLI