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Katharine Hepburn fabbrica cestelli in Sardegna
cartoline i volti radiosi delle attrici americane, che, dapprima, non feci caso a quelle immagini di carta smaltata. << Iglesias», pensai, « non è poi ai confini del mondo perchè gli iglesienti non abbiano a fruire del sorriso delle stelle di Hollywood, riprodotto su cartolina ». Ma poi m'avvidi che la cosa era ben più curiosa. Myrna Loy, infatti, era stata colta dall'obiettivo mentre s'accomodava un magnifico costume di gala di Sinnai; e non certo negli studi della Metro Goldwyn Mayer. E quest'altra ragazza, nel costume domeni
Barbara Stanwyck e costume di Sinnai
cale d'una fanciulla d'Iglesias, non era forse la dolce e mite Irene Dunne? Il folclore sardo, sùbito aveva assunto ai miei occhi quell'aria di mistificazione così tipica dei film americani, allorché vogliono descrivere certi ambienti europei, con i loro usi e costumi locali e tradizionali. Non importa che Katharine Hepburn, come Barbara Stanwyck, indossasse un autentico costume sardo, e, nell'atteggiamento di ammirare il proprio lavoro, avesse fra mano cestelli sardi di non sospetta fabbricazione casalinga. Del resto, che cosa ci vuole per rendere equivoca la pura verità, cangiare il senso d'una frase? Spesso, basta l'intenzione a mentire; un'inflessione della voce può dare un significato ironico o comico a un discorso che vorrebbe essere preso sul serio. Il sublime, si sa, confina sovente col ridicolo. Diderot diceva: « Mettete un po' di polvere sulle mie scarpe, e io non uscirò di casa, ma verrò di lontano ». Diceva anche: « Fate che sul viso di una madonna si scopra una piccola cicatrice, e quella non sarà più che la serva del pittore ». Così, sebbene l'editore abbia stampato sul retro di queste cartoline : « Vera fotografia » (quasi che noi intendessimo metterlo in dubbio), ha tuttavia falsificato i documenti della verità. Ci sorprende anzi come gl'innumerevoli cultori del folclore, generalmente tanto meticolosi, non abbiano denunciato il trucco. Giacché, se si tratta di «vera fotografia», non vuol dire ch'essa non sia stata sottoposta ad abili manipolazioni di gabinetto, e che i volti originali delle ragazze sarde, che l'obiettivo ha colto « sul vero », come dicono i pittori, non siano stati poi sostituiti con quelli assai più « commerciali » delle stelle di Hollywood.
Piuttosto, le ragioni d'un inganno tanto semplice e innocuo, è facile trovarle nella sua
stessa evidenza. Dicono che Panzini amasse appuntare sulle pareti dello studio i ritratti in rotocalco delle dive dello schermo, così come i giovani sentimentali e le ragazze ambiziose li infilano tra specchio e cornice. C'è chi si acconcia e si trucca alla Joan Crawford o alla Danielle Darrieux, e chi s'ostina a scorgere nella propria bambina i lineamenti, le mossette di Shirley Tempie; e magari cerca di allevarla su quel modello di grazia e petulanza borghese.
Tuttavia, non è il caso di concludere condannando il cinema come corruttore dei costumi, giacché, quando il cinema non era ancora apparso, il mondano trasformismo degli sciocchi s'ispirava ai romanzi, alle commedie, ai vaudevilles, ai personaggi celebri del tempo. Non questi corrompono, trasformano le abitudini e il gusto di certe classi sociali; al contrario, sono quelle medesime classi sociali che sempre manifestano troppa fretta e frenesia d'imitazione, e, quindi, di corrompimento mondano. Sono costoro, alla fine, quelli che, prendendo tutte le cose del mondo senza ombra di pudore e d'ironìa, lo rendono stupido e volgare; a costoro sono destinate le cartoline folcloristiche, truccate con i volti artificiali delle attrici di Hollywood. ,
GINO VISENTINI
Irene Donne, signorina di Iglesias
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