Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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■naJh lumini IL PUBBLICO MILANESE DIRE del pubblico d'una nazione, e più ancora d'una parte di quella nazione, è come dire del suo carattere morale, della sua educazione, e a che cosa aspiri al di là dell'ufficio e della casa. Il gusto, o quello che si intende per gusto come discernimento tra il bello ed il brutto, può non avere importanza : ogni cultura come ogni condizione sociale ne ha uno particolare, che nel medesimo tempo, può essere diversissimo tra gli stessi componenti di quella zona culturale o di quella casta intesa, se non altro, come possibilità finanziarie. Ad una rigorosa distinzione, se si volesse parlare di gusti bisognerebbe scrivere di « un gusto » soltanto, cioè quello d'una persona: e io potrei dire del mio. Perciò cosa inutile è perdersi in un tale labirinto, sarebbe un aggirarsi in modo sempre vago nel regno infinito delle sfumature. Il pubblico delle « prime » nei grandi cinematografi del centro, quello che aspetta l'arrivo della pellicola nella sala rionale e quello che, con impazienza esagerata alla circostanza, fa ressa ad una porticina per assistere alla riesumazione di vecchie o vecchissime opere, non hanno nel gusto punti di contatto. Ognuno opera in una sua sfera ben particolare che va dalla mondanità al divertimento allo snobismo, senza contare che questo gusto può essere alterato da velleità, negative o positive non conta, per improvvisi travasi e contaminazioni, tra pubblico e pubblico, nella distinzione che ho fatto più sopra. A me è parso logico levare, dalla discussione, simile punto che, a prima vista, può sembrare il più interesante: sembra tale, perchè ha la superficialità allettante di tutte le questioni insolubili; e arrivare a qualcosa di più chiaro, che racchiude magari un'idea vaga di che cosa sia il gusto del pubblico milanese, ma in compenso ne dica il carattere. Si sa benissimo quanto peso abbia avuto il cinematografo nella vita : più ancora del libro, del teatro, della radio portò mode e pose, pensieri e situazioni, tutto il bagaglio d'una fresca rappresentazione, ora frivola ora profonda, di vite eccezionali, di ambienti eterogenei, di favole e di avventure. Ma il milanese ha troppo nel sangue il senso della sua vita, e con una tale chiarezza dei limiti che è difficile si lasci contaminare. Nel peggiore dei casi sembra abbandonarsi a due ore di felice pazzìa, sospeso in un limbo che è il buio della sala, riprendendo però immediatamente contatto con la realtà appena la luce ritorna a mostrargli la faccia dei suoi vicini. In altre parole questo si chiama distacco, non incapacità di partecipazione : che, anzi, esperto per tradizione ad ogni forma di vita — dalla fastosa alla miserrima — e provato ad ogni variare di sentimento — dall'amore all'odio — in quelle due ore è legato al filo della vicenda come ad una buona esca. (A Milano non si battono le mani, né si fischia : non per pigrizia o per longanimità, ma soltanto per quella costante realistica presenza dei limiti, per cui pare che il milanese pensi : « Anche se applaudo (o se fischio) il regista, gli attori, il produttore non mi sentono. Tanto vale tacere »). Ad ogni modo quanto di più spettacolare e di evidente è nel cinema non ha fatto presa sul pubblico milanese. Mentre in altri luoghi il cinema ha quasi una funzione di falsariga sulla quale studiare come ci si comporta, come si ama, come si veste, come si balla o come si sta seduti davanti ad una donna, qui ogni suo fascino resta ben confinato sull'effimero telone bianco: e non è un atteg giamento di superbia, di diffidenza o di critica, ma piuttosto un sapere che tra cinema e vita il taglio, sovente, è netto e profondo. Tutto ciò presuppone un equilibrio di nervi ed un radicato senso morale; e metterei an 376