Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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'POSSO DIBJS CHE QUESTI MIEI ULTIMI DIECI ANNI DI VITA NON SONO STATI CHE UN DURISSIMO LAVORO' DICHIARA L'INTERPRETE DELLA ' FORESTA PIETRIFICATA' E DI 'SCHIAVO D'AMORE' ALL'INVIATO DI 'CINEMA' HO POTUTO finalmente veder da vicino l'occhio leonardesco, l'occhio a conchiglia della Vergine delle Rocce, particolare a Bette Davis. Nella onesta autocritica americana, Bette Davis è considerata come la più grande artista del continente; quando Charles Laughton andò a Hollywood, la sua prima visita fu per Bette; quando una grande inchiesta fu organizzata nel mondo cinematografico, Bette Davis fu incaricata di redigere l'articolo in nome dell'artista. Le referenze non mancano. Ma c'è di più: Bette Davis vi tien fede. Sobria, concentrata tutta nei suoi occhi chiari e sporgenti, quasi gonfi di questa intensità interna, Bette passa nei suoi film come una luce. Anche a vederla da vicino — e l'ho vista sotto la « camera » — essa irradia. In un mondo vario e falso com'è un teatro di posa, Bette si nota come se un riflettore fosse puntato su di lei. Questa u carica » interiore mi sembra d'altronde il retaggio dei grandi artisti dello schermo. In fondo, solo il cinema permette silenzi e immobilità la cui eloquenza è tutta affidata all'intensità del sentire. Uno sguardo di Laughton, di Leslie Howard, di Paul Muni o di Louis Jouvet, valgono i complessi mimici più sbrigliati. Ma qui andiamo verso un altro campo, ove la discussione troppo analizzerebbe la scelta del regista dinanzi a questi istanti di « espressione condensata nell'assoluta immobilità del corpo », secondo una dimenticata frase di James Joyce. Bette mi dice, con un sorriso d'intesa : t! Il nostro fascino è simile a una nebbia artificiale; i servizi di pubblicità funzionano da ufficio meteorologico di questo tempo fittizio. Comunque, son certa che la riuscita — in qualsiasi professione — non è mai frutto del solo caso. Ragioni ce ne devono essere sempre. Ma ammesso il principio della nebbia artificiale, cerchiamo di dissiparla insieme per qualche minuto. Il primo punto, il più importante nella nostra carriera d'attrici, è ia scelta del soggetto. Senza buoni scenarii, poche tra noi sarebbero giunte dove sono. Il critico intelligente — , quindi raro — saprebbe forse scovare una buona interpretazione in un film mediocre; ma ognuno cerca nello spettacolo una distrazione e la potenza di distrazione d'uno scenario non si basa sulla sola « vedetta ». Personalmente credo giusto che la scelta dello scenario non appartenga agli attori, cattivi e parziali giudici in materia. Infatti, interessati dai pezzi che reciteremo, dimentichiamo volentieri l'essenziale: la solidità del racconto, le proporzioni dell'intreccio, il valore degli altri. Conosco molte attrici compromesse dagli scenarii che esse stesse vollero girare. Il secondo punto, psicologico, direi, concerne il numero di film che l'attrice deve girare all'anno. Dopo tutto, il pubblico si stanca facilmente d'una « stella » che egli vede troppo spesso, almeno quanto del vederla troppo di rado. A me pare che un'attrice non dovrebbe mai fare più di quattro film all'anno; anzi, se fossi indipendente, non oltrepasserei i tre. Non dimenticate che il cinema richiede un lavoro terribile e esclusivo; lunghe vacanze tra film e film sono necessarie per rimettere in assetto la salute [leggi: nervi] dell'artista. D'altronde, credo che per una società produttrice sia impossibile di trovare più di tre buoni copioni all'anno. Il terzo punto è stato sempre il mio cruccio : come creare il personaggio. La risposta non può essere che molto vaga, variata quanto i vari personaggi che si offrono alla nostra « incarnazione ». Per quel che mi riguarda, non personificherei mai un personaggio 388