Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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IL PUBBLICO GENOVESE ASCOLTAMMO qualcuno, una volta, affermare che il pubblico genovese è, tra tutti, il più esigente. Lo dicevano, se la memoria ci assiste, a proposito d'una serata all'opera; ma poi dovevamo sentirlo ripetere tante volte dai soliti depositari del segreto sui gusti del pubblico a proposito di commedie, drammi, operette e, di recente, anche a proposito di cinematografo, da correre, noi stessi, il rischio di crederci. Abbiamo detto cinematografo, in blocco, senza scendere a distinzioni più sottili perchè il pubblico che frequenta le sale ci pare, almeno a Genova, sempre lo stesso, sia che si proiettino film di Clair o di Capra, di De Mille o di Camerini. Come abbia potuto trovar credito una simile definizione e quali siano effettivamente gli elementi adatti per confermarla non sappiamo je, per conto nostro, ci pare estremamente difficile precisarli. Certo anche noi abbiamo visto Ruggeri ordinare imperiosamente: Sipario!, quattro o cinque battute prima della fine del terz'atto di una nuova commedia, in seguito alla brusca interruzione del solito ignoto di galleria. Anche noi abbiamo visto alcuni spettatori alzarsi, tra il fragoroso ribattere dei sedili, mentre i due protagonisti del film s'avviavano coscienziosamente a concludere le loro avventure con la solita onesta soluzione matrimoniale a suon di marcia. Ma nel primo caso il fatto di aver resistito imperterriti e pazienti per tre atti cancella ogni possibile accusa di eccessivo rigore; nel secondo l'allusione così trasparente al fine moraleggiante del film poteva dispensare gli spettatori da 11 'assistervi. Per cui, a conti fatti, dopo aver assistito a molti spettacoli a Genova e altrove, non ci pare che questo pubblico parco di applausi, ma estremamente cauto nel disapprovare, meriti d'esser considerato peggiore di tanti altri. Perchè, si badi, pubblico esigente s'intende di solito il pubblico predisposto alla negazione, indifferente, apatico. Quel pubblico, per intenderci, che abbiamo osservato con una certa frequenza altrove, il quale all'atto stesso in cui prende posto in poltrona appare afflitto dal desiderio, appena nascosto e a fatica contenuto, di andarsene il più presto possibile. Pubblico composito, attento, scaltrissimo, ci pare invece d'indovinare che il pubblico genovese esiga più d'ogni altro, nelle proiezioni alle quali assiste, un rigoroso rispetto per la realtà. Mal volentieri piegandosi a vederla camuffata da arbitrarie forzature o da stravaganti modifiche senza reagire come per altrettanti torti inflitti alla propria buona fede. Noi abbiamo ben presente nel nostro ricordo l'episodio al quale assistemmo alcuni anni fa a proposito di un film americano nel quale il protagonista, un importante uomo d'affari, compariva a più riprese seduto nel proprio studio mentre riceveva ospiti con cappeilo in testa, mani in tasca, pipa in bocca e piecTTposati con visibile ostentazione sulla scrivania. E ricordiamo bene la voce di un dignitoso signore, seduto poco dietro di noi, alla vista di quello spettacolo che passava e ripassava sotto i suoi occhi. Dopo aver brontolato qualcosa tra sé, noi udimmo la voce affermare bruscamente: ii Non è vero! ». E poiché qualcuno accanto al dignitoso signore osava osservare che l'apprezzamento si rivelava, dato il momento, particolarmente inopportuno, ricordiamo perfettamente la voce farsi ad un tratto vibrante e categorica affermando: « Sono stato vent'anni in America, ho conosciuto tanta gente, ho concluso affari per milioni, ma non ho mai visto, in tutta l'America, un villano di questa fatta ». In breve un moto d'interesse cominciò a propagarsi per tutta la galleria. Una signora vicina allo spettatore scandalizzato pretendeva calmarlo. — Lasciatemi dire — insisteva costui — so quel che mi dico. Finalmente una voce, qualche fila più indietro, confermò pacatamente : — E' vero, il signore ha ragione; non ho mai visto un americano di quella risma. Era un altro che recava il suffragio della propria esperienza; fu il segnale della rivolta. A un certo punto sembrò che metà degli spettatori della sala fossero stati in America e ciascuno potesse riferire l'esperienza che aveva a proposito degli uomini d'affari americani nient'affatto concorde con quella del film. Disgraziatamente le cose erano congegnate in modo che buona parte degli episodi si svolgevano nello studio del protagonista il quale seguitava, invariabilmente, a sedersi sulla poltrona rialzando ogni volta le gambe per collocare i piedi sul tavolo, sotto il naso dell'interlocutore, tra le risate e i motteggi del pubblico. Poi fu la volta de la grande parata, con i soldati che passavano all'attacco col fucile imbracciato, come i cacciatori di allodole. Arrivarono le caravelle pronte a prendere il largo con le vele floscie, spinte da un impulso misterioso, velieri che entravano in porto manovrando come transatlantici. Qualche volta il pubblico si divertì, qualche altra, questo pubblico spaventosamente erudito in questa materia, ebbe l'aria di chiedersi: Proprio a noi vogliono far credere queste storie? Raramente, molto più raramente del resto di quanto le circostanze richiedessero, per non aver l'aria di abboccare, peggio per non correre A rischio che qualcuno potesse crederlo, reagì apertamente. Donne sciocche, uomini presuntuosi e loquaci, inabili fabbricatoridi mirabolanti imprese, giudicati ai -primi fotogrammi, raramente trovarono il modo di riscattarsi. Forse non è vero per tutti che il pubblico ami scoprire nei film un'umanità semplice e ottimista nella quale specchiarsi; talvolta è proprio vero il contrario, e vi sarebbero molte ragioni, non solo cinematografiche, per sostenerlo. Il « fatto personale » tra personaggi e pubblico raggiunge talvolta la sua più alta e definitiva tensione per un contrasto di gesti, di espressioni, di tono. Se il primo incontro non è felice, si scoprono via via le ragioni, e con le ragioni l'au 106 HÈU