Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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Li A BELLA GEUTE È STATO proprio questo il momento delle raccomandazioni, delle provvidende e dei buoni propositi. Sono state impartite le direttive, create le premesse necessarie, auspicati i nuovi indirizzi, indicata la via per appianare i dissidi. Tra questi ultimi, è sempre stato eminentissimo il dissidio fra l'intelligenza e l'industria. Il punto di vista della prima lo conosciamo: preparazione solidamente culturale, buon gusto, esempio della Francia, largo ai giovani. Quale il punto di vista della seconda ? Ne esiste uno ? Noi crediamo che esso esista, e intendiamo accostarci ad esso col più cordiale spirito d'osservazione. Non è difficile segnalarne i caratteri. Basterà, per inquadrarlo, ricordare quali siano le accuse che l'industria rivolge all'intelligenza, il produttore all'uomo di cultura che si è avvicinato al cinema. Tali accuse si compendiano in un aggettivo sostantivato: l'uomo di cultura è « un teorico ». È sufficiente e persuasiva tale accusa? Noi vogliamo in questo momento prendere la parte dell'industria. Vogliamo indicare come tale accusa non sia sufficiente e persuasiva; come l'industria, cioè, disponga di mezzi più precisi, di realtà più concrete per inquadrare e descrivere la propria posizione. Solo che per usare tali mezzi occorre un certo coraggio. Occorre una presa di posizione netta: occorre che l'industria chiarisca la propria individualità all'infuori del pregiudizio « artistico », facendo del film, palesemente e dichiaratamente, un « prodotto ». Presa tale posizione, automaticamente il « teorico » sarà messo in imbarazzo, si troverà fra le mani armi impari, sarà lo « sfasato », il don Chisciotte della situazione. Dovrà rivedere le proprie carte e le proprie abitudini, allargare le proprie visioni. Fino ad oggi, nei casi estremi, egli usava per la cinematografìa un tono da critico d'arte. Parlava di inquadratura come si parlerebbe di composizione pittorica, e scomodava parole come « sintassi », e simili, che un po' sorprese scendevano dalle loro sfere consuete. Ma una volta chiarite le intenzioni degli industriali, ecco che anche quast'apparato verbale sarà sostituito da una più proporzionata terminologia, e la critica si riferirà a quegli elementi che la realtà stessa le porge. Quali elementi? Basta sfogliare, come noi sempre facciamo', le ruvide pagine a ciclostilo dei Bollettini che ci pervengono, e scorrerne la prosa. Si capisce subito che la cinematografia non vuole essere considerata col linguaggio della critica d'arte, ma con uno piuttosto che, per intenderci, definiremo' trovarsi fra la critica dei costumi e la cronaca mondana. E verrà da auspicare, piuttosto che la produzione di opere d'arte, le quali, proprio in questo momento, appaiono troppo francamente chimeriche, verrà ad auspicare, diciamo, la costituzione di una classe interessante e piacevole, viva per atteggiamenti eleganti e per gesta mondane, l'arrivo insomma di quel che all'Opera si dice « della bella gente ». Allora s'intenderanno subito le proporzioni nuove dell'opera critica: non più queste figure s'inquadreranno nelle pagine di un Cari Vincent, di un Paul Rotha o di un Francesco Pasinetti, ma reclameranno piuttosto un piccolo Balzac o un piccolo Thackeray. FLAMINIO PRATI