Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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Si stava girando una scena importante del film. Il Senato Romano, riunito in assemblea, doveva ascoltare le parole di un giovane patrizio. Il cielo era clemente. Moriva il sole color d'arancio, sostando svogliato sui cornicioni delle case. Lo stridìo delle rondini riempiva il vuoto tranquillo. Le costruzioni di cartapesta acquistavano nobiltà, le prospettive architettoniche empivano serenamente gli spazi, davano alla scena come un senso di misura. — Parla, parla, andiamo! Bisogna veder le parole uscire di bocca — urlava il regista. — Dì la prima fesseria che ti capita. Tanto la voce non si sente! E il giovane patrizio, rivolgendosi all'assemblea che pendeva muta dal suo labbro, iniziò il discorso: La vispa Teresa avea fra l'erbetta a volo sorpresa gentil far] alletta... Accompagnava ogni parola con gesti maestosi, con cipiglio burbanzoso; oppure con occhiate suadenti, con sorrisi modulati. E i senatori, in segno di approvazione, si davano l'un l'altro di gran manate sulle cosce. — Ah, mattacchioni! Figlio d'una brava donna! Terminato il discorso, un altro personaggio si levò a parlare. Il suo gestire era lento e curiale. Era anch'egli un povero diavolo, con delle serie probabilità di rimanerlo per sempre. Incominciò, nel silenzio: — Bene facjsti, o nobbile patrizio!... — Ah, ah, ah! Scoppiarono delle risa di scherno da un settore dell'illustre assemblea. E il professore d'Archeologia Cristiana guardava allibito. Quand'ecco per una via a lastroni sconnessi, farsi avanti una processione. E, nel mezzo, troneggiare un personaggio in pompa magna. Era il famoso portiere di via Merulana, maestro nelle grandi parti d'effetto. — Quello lì raffigurava il Papa Marcellino — disse il barone al professore. Il professore non rispose. Osservò muto la ripresa della scena. Poi, quando credette giunta la fine, irruppe affannato tra quella folla di comparse, e, aiutandosi a furia di spintoni, si fé sotto al personaggio: — Bravo, bravo. Papa Marcellino! — esclamò stringendogli le mani. E, riprendendo il fiato: — Quia Papa Marcellinus... E lì una filastrocca di parole latine che il Pontefice ascoltava imperterrito, superiore e magnifico. Erano, come ho detto, i tempi d'oro del nostro cinematografo. Di fuori venivano le buffonate di Max Linder, di Prince, di Cretinetti, i drammi brumosi della svedese Asta Nielsen, o le moraleggianti, infantili, garbate commedie americane recitate da quel Costello dalle grige tempie, rubacuori delle minorenni d'allora. Le cose serie e potenti, i filmoni che scuotevano, li facevamo noi, e nessuno osava contenderci il primato. Chi, all'infuori di noi, avrebbe potuto metter su una Cabiria o un quo vadis? E il tipo della femmina ardente, bruna, autoritaria, formosa, implacabile cercatrice di piaceri, dove l'avresti potuto trovare se non nelle Messaline e nelle Poppee dei nostri teatri di posa? Il tipo di Poppea era specializzato nelle parti impetuose di crudeltà, di disperazione e di gelosia. Entrava in camicione, il seno ansante come onda marina. Sostava sulla soglia dell'atrio, e si disfaceva in fretta la chioma corvina aspettando che si fosse largamente sparsa sulle spalle. Soltanto allora aveva inizio la grande scena. C'era però la felicità che caratterizza i periodi d'oro di un'arte: quand'è ancora bambina e ha raggiunto i primi risultati, e s'intravede l'avvenire trionfante. Era dunque il momento felice del nostro cinematografo, così come l'immediato anteguerra fu propizio ai balletti russi, quando artisti e gente di gran vita si riunivano attorno a quel centro attivo, a quel nucleo che assor biva musica, colore, lusso, mondanità, a quel fulgore di decadenza, a quell' effondersi grave di sensi di un'epoca che muore. Ma erano anche discussioni e battaglie. C'erano, sotto a quella splendida fioritura autunnale, come dei movimenti sotterranei che volevano sfociare, come un mondo nuovo che stava per aprirsi e non s'era ancora palesato, difficile e severo. Ora le medesime coreografie, le medesime musiche, i medesimi artisti, ti lasciano freddo. È passato il momento. Attorno c'è il gelo. E cosa c'era, allora, di più felice del vecchio e grande professore Orazio Marucchi che irrompeva trafelato fra tutte quelle Poppee, fra tutte quelle corazze di cartone, a stringer le mani al portierone di via Merulana; e, mentre questi lanciava per parte una sprezzante sverza di saliva, esclamava, preso d'ammirazione: — Bravo, bravo, Papa Marcellino! Quia Papa Marcellinus... BINO SANMINIATEIiLI (illustrazioni di Arrigo Ghedini) emòiNf 141