Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

Record Details:

Something wrong or inaccurate about this page? Let us Know!

Thanks for helping us continually improve the quality of the Lantern search engine for all of our users! We have millions of scanned pages, so user reports are incredibly helpful for us to identify places where we can improve and update the metadata.

Please describe the issue below, and click "Submit" to send your comments to our team! If you'd prefer, you can also send us an email to mhdl@commarts.wisc.edu with your comments.




We use Optical Character Recognition (OCR) during our scanning and processing workflow to make the content of each page searchable. You can view the automatically generated text below as well as copy and paste individual pieces of text to quote in your own work.

Text recognition is never 100% accurate. Many parts of the scanned page may not be reflected in the OCR text output, including: images, page layout, certain fonts or handwriting.

l'azione disperata. Nei primi quadri di alba tragica, Jean Gabin uccide Jules Berry : anche qui, il motivo verrà dimostrato attraverso rievocazioni. In questi due film l'effetto iniziale è senza dubbio impressionante. Però, va osservato che il finale di conflitto non raggiunge nella curva drammatica la potenza della prima scena. Nel film di Carnè, invece, il colpo di rivoltella, il lancio della granata di gas e il suono della sveglia nella stanzetta dell'ucciso, raggiungono un'emotività superiore a quella della scena d'inizio. Qualora non vi siano ragioni speciali, la narrazione cinematografica a base di rievocazioni non ha motivo di valere più del regolare svolgimento cronologico. Certi film che procedono a salti indietro e in avanti, creano un ingiustificato disordine narrativo e costringono lo spettatore ad un inutile sforzo di memoria per riallacciare i fili del racconto. (Ad esempio : la brigata selvaggia di Marcel l'Herbier e l'isola delle vedove di Claude Heymann). Inoltre, se i ricordi nel film non sono inseriti in modo chiaro e funzionale, possono determinare disorientamenti ed errate interpretazioni dei fatti. Le rievocazioni sono interessanti in quei racconti cinematografici nei quali il ricordo del passato occupi un posto evidentemente necessario ai fini dell'economia narrativa, e in vista d'una emozione particolare che quell'espediente si proponga Valgano come esempio le rievocazioni in LA STRANA REALTÀ DI PETER STANDISH dovuto alla regìa di Frank Lloyd, ovvero crepuscolo di gloria di Joseph Sternberg, dove un ufficiale russo (Emil Jannings) ridotto a lavorare tra le comparse cinematografiche, mentre si gira una scena di guerra si esalta rivivendo la vicenda che l'ha portato ad un'esistenza così misera. In funzione del racconto sono le dissolvenze nel deserto di Atlantide di Pabst, come introduzione e fine all'avventura misteriosa dell'ufficiale SaintA vis (Pierre Blanchar). E in questo film nelle scene che rievocano il dramma, svolto come in un sogno, vi è inserito un altro ricordo, non per dissolvenza ma per stacco. È la famosa scena in cui lo strano parigino ospite da tanti anni nel paese di Antinea (Brigitte Helm) ricorda le origini di questa donna, e vi è uno stacco dal primo piano di colui che sta per rivelare il passato, con attacco al primo piano delle gambe delle ballerine nel can-can parigino fine di secolo. Infine ricorderemo fortunale sulla scogliera di E. A. Dupont. Esso ha inizio in un caffè ristorante di un porto del Pacifico. L'obbiettivo con movimento insolito di carrello descrive l'ambiente in cui la ballerina Eileen (Tala Birel) avendo scorto suo marito, il comandante Kell (Heinrich George), si siede vicino a lui per confidargli la verità sul loro comune passato. Sullo schermo passano allora le immagini della tragedia svoltasi nel faro. Alla fine l'azione ritorna alla prima scena : Eileen ha finito di raccontare la sua triste storia. Essa ha lo sguardo fisso nel vuoto. L'uomo alla fine del racconto si è silenziosamente allontanato lasciando la donna coi suoi ricordi. EDMONDO CANCELLIERI ESTETICA DEE DISEGNO ANIMATO ■ I TARDI non si sono accorti che la famosa h macchina », distruttrice di poesia, poteva diventar poesia nelle mani d'un poeta. È quel che è avvenuto per il disegno animato; vi sono ancora persone, nei due mondi, che pur riconoscendo dispettosamente il « divertimento » offerto dal disegno animato, storcono il naso quando lo si definisce arte; e non si lasciano convincere dal fatto che nella storia della poesia nessuno, forse, si è mai fatto capire universalmente quanto Disney. In uno dei primi film di questo artista si assisteva alla storia d'un pipistrello che, terrorizzato dall'ombra apocalittica delle sue ali, ridiventava topo; questa trovata dà la misura del suo creatore, detto da certuni <( il Raffaello del cattivo gusto », senza naturalmente precisare che cosa sia il « buon gusto ». Un personaggio più celebre come critico che come pittore, si degnò di riconoscere che Disney aveva « reso sublime il grottesco » . Non è questo il primo caso : lo si domandi a Bosch, a Breugel, a Grùnewald e ad Arcimboldi. Ora che il disegno animato è uscito dalla sua infanzia, non è inutile interessarsi alla sua estetica. Le esperienze sono state molte, altre sono prevedibili : si possono dunque approfondire le leggi che le hanno guidate, inconsciamente o no. Mi è successo di scatenare una violenta reazione affermando che « il disegno animato deve ispirarsi a un concetto ellenico, e moderno nello stesso tempo, della produzione artistica »; volevo alludere semplicemente al lavoro collettivo particolare al disegno animato, per cui i cànoni estetici cambiano di modulo. Avrei voluto aver torto, ma purtroppo possedevo elementi in favore della mia tesi. Si ha dell'arte antica un'idea che la cultura ha livellato con quel gusto del riassumo proprio a chi non può permettersi ozii spirituali. Molti credono fermamente — ad esempio — che i templi greci furono sempre come oggi : pietre nude e commoventi, mentre in realtà furono colorati, decorati, con un cromatismo che ricorda i toni cari agli Egizi. Gli occhi stessi delle sculture greche, senza sguardo, che danno oggi un'emozione simile agli occhi socchiusi di Buddha, erano dipinti. Per rivenire al lavoro collettivo — moderno per definizione — bisogna pure ricordare che gli scultori greci, anche i più grandi — Fidia compreso — lavoravano su quel che era detto « il cantiere » (vecooiov). Esisteva, cioè, uno specialista delle mani, un altro delle gambe, un altro ancora dei seni, etc. Il totale, dal punto di vista plastico, non poteva essere lontano da quella regola d'Apollo che ci ha sorpreso attraverso i secoli. L'artista componeva, ordinava gli elementi del suo « cantiere » e ne faceva il capolavoro. L'idea del lavoro collettivo, anche nei campi più riservati dell'individualismo, non è dunque nuova. Il disegno animato — mutatis mutandis — riprende questa formula che lascia nell'anonimo innumerevoli col 181