Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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I SOGNI MIGLIORI SPESSO chiudo gli occhi per un minuto durante la rappresentazione e cerco d'indovinare quanto succederà sia rispetto alla tecnica sta rispetto ai fatti, un primo piano o un campo lungo, una donna seduta o un paesaggio: poiché la sceneggiatura ha infinite strade per giungere al suo scopo, come la misericordia divina, quindi ogni sorpresa è possibile anche nelle sequenze elementari. Un film comune triviale e logico, seguito con questi abbassamenti di palpebre, giustifica sempre la nostra presenza e rivela la delicata capacità di ogni metro di pellicola, spiega che l'uso del fotogramma non deve essere dissimile da quello della parola. Resta inoltre il dubbio angelico che in quei momenti di cecità si siano svolte azioni brillanti, si concede insomma del credito, come capita con gli uomini dai lunghi silenzi, essendovi sempre poesia nella parsimonia. Non vorrei che i produttori, impadronitisi del imo pensiero, firmassero una supplica per ottenere la costrizione del pubblico ad assistere bendato alle » prime ». Intendo soltanto dire con il mio esperimento che la fantasia fermenta nei difetti : se l'ultimo ci nenia dal trenta al quaranta, è di rado sorprendente, dipende dalla sua crescente per fezwne commerciale. Ahimè, arriveremo anche noi alla organizzazione americana. Siamo ancora in tempo a guardarcene? Temo di no. Tutto il mondo .considera il cinema industrialmente , con tanta naturalezza e convinzione che noi artisti entriamo nel giuoco e viviamo di compromessi e ascoltiamo i discorsi del finanziere consentendo con lui in qualche punto: soprattutto nel punto che egli è veramente l'arbitro della situazione. » In fondo — si ammette — ha diritto di difendere il suo bilancio ». Non cambieremo noi con due pagine la potenza millenaria dei volgari interessi che collaborano a distinguere il cinema dal libro creando due estetiche e due morali. Ci basta l'illusione che un giorno si dirà: <• Sin dall'inizio una ventina di individui avevano capito che la strada non era quella di Hollywood, che lo spettacolo cominciato sui Boulevards dai fratelli Lumière fu il principio del male. Si chiamavano nichelodeon i primi locali, la moneta di nichel, il prezzo, erano l'insegna del meraviglioso avvenimento. Urgeva invece impadronirsi del mezzo con un costo cosi esiguo da metterlo alla portata di molti, degli individui, come la carta, l'inchiostro, la plastilina, i colori: introdurre nelle case pellicole e obiettivi come la macchina da cucire. Non sarebbero nati i produttori, vertice di un sistema borghese, cinema applicato, al pari di certa editoria, ormai difesi da una linea di ferro; i luoghi comuni del lavoro distribuito a migliaia di cittadini, la creazione di una grossa e nobile ragione. Ma a loro, poi, di tutto questo, che ha la sua parte di virtù, non importa un fico secco. Dove ero rimasto? Con il preambolo volevo arrivare alla considerazione che i ciechi, al cinematografo, non sono un caso pietoso: dicevo che la fantasia viene fuori dalla povertà, tanto che il titolo del lavoro, V accompagnamento musicale, il respiro degli spettatori, alcune frasi, sono sufficienti per determinare una trama originale, di volta in volta diversa, la loro trama. Per il « giallo » ad esempio, l'angoscia nascerà più che dal rumore scoppialo in mezzo ad una pausa, da un grido, nascerà dal passaggio del tempo, senza sfondi di sorta: ti cieco, informato del tema, sente il peso dei secondi, uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove... gremiti di cattiveria. È ovvio che il cieco ha bisogno come noi di un limite, principio e fine, per essere nello spettacolo e non nella elucubrazione solitaria. Diventano spettacolo le cose ferme in una attenzione predisposta. Infatti, mio zip che era saggissimo , non diceva mai: << Guardate il tramonto ». Ci schierava davanti alla finestra — spesso invitava anche gli amici — suonava un campanello, poi, tirate su le tendine della finestra, esclamava: ci Ecco il tramonto ». Quale splendida visione! Seduti accanto a noi, a contatto dei nostri sussulti, del calore umano, diventano i veri, i soli critici: essi sanno ciò che potrebbe accadere. Riacquistata la vista per miracolo, si troverebbero davanti scene molto al di sotto della loro immaginazione. Io penso che noi cineasti perpetriamo continuamente un tradimento verso di loro: i registi pen sino ai ciechi se vogliono progredire. Essi costruiscono la vita con la memoria dell'infanzia: per questo non oserei raccontare ai ciechi il riassunto di un'opera, avvertirebbero, subito il metodo, il mestiere, anche nei casi felici. Vuol dire che essi non amano le cose semplici, dato che il pubblico spesso piange o ride? Anzi, solo le cose semplici, poiché le vere scoperte hanno radice nella grammatica. Il cinema mondiale poggia per nove decimi sul romanzesco, sull'eccezionale: ma intorno alla natura di questo romanzesco noi non ci comprendiamo . I ciechi ^sono in grado di attendere avventure ben più profonde di quelle care ai soggettisti internazionali; essi soli permetterebbero e aiuterebbero la rivoluzione vera e propria: il film dell'uomo che dorme, il film dell'uomo che litiga, senza montaggio e oserei aggiungere senza soggetto. Un episodio senza centro e casuale. Poter tornare all'uomo come all'essere, << tutto spettacolo ». Certi metraggi ottenuti piazzando la macchina in una strada, in una camera, vedere con pazienza insaziabile, educarci, che grande conquista, alla contemplazione del nostro simile, nelle sue azioni elementari. Vicino a noi siede il cieco, lo aiutiamo di quando in quando con le didascalie: Ora l'uomo si passa una mano sulla faccia, il dito medio si è fermato sull'occhio, muove la bocca a sinistra... Il cinema dovrà scoprire le cose originarie e abbandonare il balordo concetto di inverosimile e di eccezionale che la letteratura sta buttando finalmente alle ortiche. Con un cieco non arrossisci a proporre il seguente soggetto: « Dalle ore diciassette, ordine divino, siamo tutti immortali ». È inutile discutere, i dubbi ecc. ecc. Dopo le prime ore di sbigottimento, poi di gioia folle, orgie, danze, pianti, constatazione della verità; immortali. Un signore si è buttato dal muraglione del Pmcio, ha fatto tre o quattro rimbalzi come una palla di gomma sul lastrico, e infine si è alzato arzillo e con la giacca solo un pochino impolverata. La vita continua, però, almeno in principio seguitando a svolgere le trame imbastite prima delle ore diciassette. A poco a poco sorgono le nuove coscienze; avremo avuto cura d'impiantare una storia con sei o sette personaggi e la risolveremo nel clima, « dopo le diciassette ». Una amica vi telefona: » Ti aspetto questa sera ». Che cosa risponderete, immortali miei? Non 252 — -.^