Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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saprei neanch'io. Certo che sarebbe bello entrare in una casa dove stanno litigando e avvertirli con la voce di un usciere: « dalle ore tot siete tutti immortali ». Molto interessante sarebbe il periodo del trapasso dal regime mortale a quello immortale: invece è facile prevedere per dopo la statuaria configurazione dell' utnanità, l'edera crescerà sui nostri corpi e i piedi metteranno radici nella terra. I sogni sono dei ciechi e dei veggenti. Un film tutto di sogni costituirebbe un documentario importante anche per i posteri: o difficilmente sapranno che cosa sognavano i cittadini di questo periodo bellicoso. La supervisione — non intendo fare dei giuochi di parole cretini — V affiderei a un cieco. Ma niente flou, rallentamenti, niente surrealismo, come direbbero i produttori, i nostri sogni sono nitidi e feroci, possiamo discuterli stando su un'amaca dopo colazione. I nostri sogni sono la tavola pitagorica, moltiplichiamo Antonio per Achille, addizioniamo il bicchiere con la calamita, o la nipote di Carlo, e otteniamo risultati chiari e impacifici. Restiamo rigorosamente nell' ordine delle cose conosciute: un albero è un albero e non può esistere se non come albero. Ma nei sogni l'albero parla, e dal nostro ventre escono chilometri di intestino con molta naturalezza. Siamo in grado addirittura di creare una città che sia dalle fondamenta frutto di un sogno. Chiudete gli occhi, amici miei, ecco la città con le piazze i campanili gli abitanti. In una vetrina sono esposti alcuni uomini, un passante malinconico entra, prende in affitto per un'ora un giovanotto biondo, se lo porta ai giardini pubblici, gli racconta le sue faccende private, lo riporta in ditta allo scadere dell'ora. Non vi dico le altre inaspettate apparizioni, tuttavia vi avverto che il loro senso sarà nella terrena verità del loro svolgersi. Niente di magico. Per detronizzare Frankestein e tentare il « nuovo » abbiamo solo urgenza di riproporre alla nostra attenzione i motivi pietrificati dai secoli. Rinunceremo alla truca, al transparancier, agli infiniti sotterfugi cari a Méliès. La meraviglia deve essere in noi ad esprimersi senza meraviglia : i sogni migliori sono quelli fuori nebbia, si vedono come le nervature delle foglie. CESARE ZAVATTINI ws$®& sana» wm DA QUALCHE anno a questa parte i rapporti fra la musica e il film sono diventati stazionari. Pareva che l'avvento del cinema sonoro dovesse aprire vastissimi orizzonti all'impiego della musica nel film; si disse anzi che, se la parola poneva degli ostacoli alla fantastica successione delle immagini sullo schermo, la musica li avrebbe rimossi, prendendo quanto più fosse possibile il posto della parola, e restituendo al racconto visivo tutto il suo cinematico fervore, tutta la sua fluida animazione. Si parlò della musica come di una ideale terza dimensione del film, quella terza dimensione che invano il film sonoro sembrava chiedere al « parlato ». Nel tentativo di contenere la parola entro limiti più modesti, si accennò anche ad una vaga analogia fra il film sonoro e l'opera in musica, più precisamente fra il film e il melodramma, con la possibilità di trattare il dialogo come un recitativo, lasciando alla musica la funzione lirica dell'aria, di un'astratta aria non cantata. Ciascuna di queste ed altre teorie ebbe la sua pratica applicazione. La musica, in gara con il dialogo, in lotta con le parole inutili e dannose, cercò per lungo tempo di accaparrarsi i posti migliori della colonna sonora. Inutile contesa, forse; ma quale miracolo fertilizzante della fantasia creatrice, quale irrefrenabile impulso alla conquista di posizioni sempre più avanzate. I gioiosi disegni animati, da una parte, le spettacolose follie, dall'altra, costituirono le tappe più ammirate della gara per la supremazia musicale nel film sonoro. I film musicali ebbero un momento di grande favore; il suono emesso dall'altoparlante era molto più gradevole della parola prodotta con lo stesso mezzo; più insinuante, più voluttuoso e, in ogni caso, più accettabile della parola, giac ché, salvo che nei momenti di canto, evitava la sinistra sproporzione esistente fra la piatta immagine bimensionale dei personaggi e la loro voce quasi reale, quasi vera. . Ma il cammino della musica nel film sonoro si arrestò alle fortunate esperienze del disegno animato e dei film spettacolari, nonché a quelle dei loro rispettivi derivati, comprese le felici applicazioni, soprattutto ritmiche, dei film di René Clair. D'allora in poi' la musica si è nella maggior parte dei casi rassegnata al compito di un riempitivo più o meno tollerato, quando non richiesto dalle necessità di colmare i vuoti di una re citazione male equilibrata. Nei casi migliori la si è chiamata a sottolineare e ampliare qua e là il significato del dramma, o a calcare l'accento lirico su qualche scena muta. In ogni modo la musica cinematografica non ha mai raggiunto l'autonomia pressoché totale dei disegni animati, non ha mai trovato — e forse non era possibile — la sua forma compiuta, libera, esauriente. Durante questi ultimi anni abbiamo assistito piuttosto ad un processo di assestamento della musica nel film; una sorta di compromesso, privo di ardite idealità, ha risolto il problema dei rapporti fra la musica e il film. I motivi di tale soluzione sono vari. Innanzi tutto un poco alla volta si è fatta strada l'idea che la musica non è il film, ma un complemento, sia pure importante e tutto altro che trascurabile, del film. Erroneo sarebbe sopravvalutare quest'importanza: giacché un film deve la sua riuscita unicamente alla sua economia drammatica, e un film mancato resterà tale anche mercè il concorso della più bella musica che si possa immaginare. Se è assurdo il ritenere, come fanno non pochi registi, che le falle d'una recitazione difettosa possano essere otturate 253