Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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avesse spesi anni e anni nella ricerca; ricerca paziente, culturale e pratica. Uomini come Rotha, Grierson, Spottiswoode indicavano a sé e ad altri certe strade piuttosto modeste ma sincere. I giovani li seguivano. Venne poi Cavalcanti, e sotto il suo impulso, e di Grierson, e di venti altri, nacque veramente il cinema inglese. Senza più oltre tergiversare, vi diremo che miss Vaughan e gli altri ospiti di quella serata in casa Renoir, e prima di tutti l'illustre anfitrione, erano tutti d'accordo. Io stesso, che ho veduti alcuni documentari di Cavalcanti, posso testimoniare. Il cinema inglese è nel documentario. Profonde ragioni umane e culturali spingevano dunque gli studiosi e gli sperimentatori inglesi su quella via. La signorina Vaughan osserva molto giustamente che nulla s'accorda meglio col temperamento inglese del documentario; c'è nell'inglese una mentalità chiara, realistica, l'amore dell'osservazione minuta, la facoltà di scoprire nella realtà che si svolge davanti agli occhi le peculiarità più sottili e più schiette. Tutte cose le quali fanno quello che oggi si chiama il « documentarista ». Ma, signori miei: documentarista non fu già Defoe (vedasi la Peste di Londra di recente tradotta), a loro modo non lo furono Dickens e Thackeray? Così, squisitamente in armonia con tutte le tradizioni del Paese, i documentari ne sono la vera e originale voce cinematografica. Quei film di Cavalcanti, soprattutto il drammatico NORTH SEA e il lucido LONDON FRONT (la signorina Vaughan osserva che davvero non si poteva dare in un modo migliore, con una scelta di motivi, di luci, di suoni, di silenzi, più esatta, l'atmosfera dei primi giorni di guerra nella capitale), mi parvero senz'altro tra le cose più belle che ho vedute in cinematografo negli ultimi anni. Un'altra osservazione acuta fa la Vaughan a questo punto: ma tutti i migliori film inglesi di spettacolo sono essenzialmente dei documentari, storici o psicologici non im porta: dalla REGINA VITTORIA a PYGMALION di Asquith ai « gialli » di Hitchcock. E Korda? le domando. Olwen Vaughan mi guarda un momento: è seduta di sbieco su un divano, il collo sottile si piega nel movimento, tutto il corpo allungato e snello si sposta un poco — così mi suggerisce la rapidissima immagine di un uccello del Nord che vidi gentilmente appollaiato in un parco — altrettanto elegante e leggera. Korda è un buon amico suo e dell'Istituto; e non si può negare che abbia fatto qualcosa di coraggioso, commercialmente parlando. Gli inglesi gli rimproverano la sua mentalità un poco circense, e un po' troppo hollywoodiana; egli dal canto suo ha compreso che gli inglesi, da isolani che sono, provano una sacra e inspiegabile emozione di fronte agli stranieri : è così che egli ha conquistate e fatte muovere somme piuttosto rilevanti. Spesso le sue « barnumerie » gli fanno perder tempo e denaro : come quando invase di lupi e di elefanti gli stabilimenti (si girava la danza degli elefanti), in soprannumero. Ma è una figura; uno di quei personaggi coloriti; curiosi, vulcani d'idee, che hanno permesso al cinema di conquistare posizioni non più scardinabili : difficile dire adesso se solo con vantaggio di esso. Ma essi hanno dato moto, impulso : ovvero vita. La serata finisce serenamente e borghesemente: nell'aria non c'è più traccia delle saporitissime e avventate affermazioni di Jean Renoir (uomo d'ingegno e di umore), né dalla voce piana di miss Vaughan, intelligente e gentilissima segretaria del British Film Institute. Già; sono per strada; devo tirarmi su il bavero del cappotto, marzo matto. GIANNI PUCCINI Tre inquadrature di 'La città', documentario di Alberto Cavalcanti su Londra 2Ò7 mM