Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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RACCONTARE di Roberto Omegna e dell'inizio della sua carriera cinematografica è un po' come raccontare le origini del cinema in Italia. Questo piemontese di antica razza — e dunque tenace e testardo e d'indole appartata e un po' solitaria — è infatti, si può dire, il primo che nella Torino agli albori del nostro secolo abbia fermamente creduto, tra lo scetticismo e la derisione di molti, nelle possibilità di una industria cinematografica nazionale. Appassionato di fotografia sin da ragazzo, si costruì in giovane età una macchina fotografica di fortuna con le sue proprie mani, utilizzando lenti di binoccoli in disuso ed altri abbandonati aggeggi familiari; e in questo costruirsi la macchina da solo c'era già qualcosa dell'Omegna di oggi, del paziente, instancabile realizzatore dei film scientifici dell'Istituto LUCE, dell'uomo che ama far tutto da sé nel suo grande stanzone di via Cernaia : una specie di « bottega )> di artigiano antico. Qui siamo andati a trovarlo. Altre volte avevamo visto lo stanzone ingombro di vasche dall'acqua verdognola per le muffe del fondo, in cui si muovevano lenti pesci insonnoliti, di gabbiette ingegnose per gli insetti, e vi regnava una atmosfera di austero silenzio, un po' da museo zoologico o da collezione di fenomeni; ma in questi giorni Omegna sta realizzando un film sulla vita dei canarini e il suo stanzone è quindi tutto pieno di trilli, e lo ravviva una scenografia di grandi gabbie con alberelli finti, ghiaietta, foglie di insalata e cieli in compensato. L'attuale aiutante di Omegna, unico aiutante, che è un altro vecchio del cinema (Gabriele Gabrielian che ha al suo attivo, tra l'altro, realizzazioni di film con Max Linder, Ghione, Caserini e che ha girato quo vadis?) fa fischiettare uno di quei giocattolini da fiera che cinguettano, per tener desti e vivaci i canarini sotto la luce dei riflettori. Omegna, come sempre, come ha già fatto coi pesci, coi grilli, coi ragni, con le farfalle, con le zanzare, cura personalmente i piccoli animali e passa ogni sera, sul tardi, prima di rincasare, a vedere come stanno e se tutto è in ordine. Con le zanzare — stavamo per dire « al loro capezzale » — Omegna ha passate notti intere ad aspettare che facessero le uova. Dei canarini segue ora la covata. In questa atmosfera di lavoro, in mezzo ai riflettori ed ai cavi, Omegna ci fa vedere alcune vecchie riviste cinematografiche e parla volentieri del proprio passato. Ne parla con un certo amore ed una certa compiacenza trattenuta, modesta; ma senza rimpianti, perchè egli è ancora «sulla breccia». Ogni tanto, infatti, si interrompe per andare a dare uno sguardo ai suoi canarini, per sistemare una luce, per girare un pezzetto. Ai primi del '900, dunque, esistevano a Torino due cinematografi affiliati a Lumière. Omegna aveva fatto il fotografo, il filodrammatico, per poco non era passato al palcoscenico come professionista, aveva fatto il pittore, il miniaturista e non so che cos'altro ancora, sempre contrastato dai suoi che lo avrebbero voluto vedere applicarsi a cose più serie e più sicuramente, anche se modestamente, redditizie. Tanto che egli, benché di spirito piuttosto irrequieto, era ora cassiere alla Cassa Pensioni. Si era sposato. Intanto gli affari dei due cinematografi andavano male : t i film che vi si proiettavano erano rimasti alla elementarità dei primi bravissimi pezzi di Lumière, troppo brevi e, superata ormai la curiosità per la nuova « trappola » della meccanica, privi di un vero interesse. Andavano tanto male gli affari dei due cinematografi che un giorno i rispettivi proprietari si videro costretti a chiudere. Omegna comprese le ragioni di questo insuccesso, e anche se qualcuno giudicava il cinema oramai finito egli, che ne aveva comprese le possibilità e che non poteva starsene tranquillo a fare il cassiere, volle buttarsi in un'impresa « pazza ». Con poche migliaia di lire, ottenute da un amico col quale si mise in società, comprò uno dei locali battezzandolo Edison, andò a Parigi — dove già era stato anni prima durante un viaggio di studenti, ed aveva respirata aria di cinema — e comprò diversi brevi pezzi da Pathé, da Gaumont, da Meliès ed altri. Pezzi brevi, di quella brevità e, per lo più, inconsistenza che aveva fatto la sfortuna dei due cinematografi torinesi; ma egli li aveva scelti con un determinato criterio, in modo che fossero montabili assieme per ottenerne dei film di 150200 metri (lunghi metraggi, per allora) con un loro senso compiuto. Ed in questa trovata mi pare ci sia una esatta comprensione del cinema. Fu infatti il suo primo successo: con grande pubblicità, con cartelloni che annunciavano la proiezione di 200.000 fotografie — contare i fotogrammi era un'ottima forma di pubblicità — il Cinematografo Edison cominciò magnificamente la sua attività. Ma Omegna aveva in mente imprese ancora più « pazze » : fare veramente del cinema, girarli i film, in Italia, invece di comprarli dalla Francia. E pazza l'impresa era davvero giudicata da tutti. Fare la concorrenza ai francesi pareva impossibile. Omegna però era sicuro della riuscita. Egli era stato in Francia, aveva conosciuto, come abbiamo visto, Meliès, Pathé, Lumière, aveva ficcato il naso il più possibile nei loro primitivi stabilimenti. E il cinema lo attraeva : era veramente fatto per lui che assieme ad aspirazioni e possibilità artistiche (abbiamo visto che fece il pittore) possedeva una mente di tecnico e l'abilità ed il gusto dell'arrangiamento ingegnoso (la macchina fotografica costruita da ragazzo), qualità quest'ultima che, particolarmente a quei tempi, era molto utile. Finalmente, dopo mesi e mesi di lavoro, di speranze, di ansie e di progetti, conobbe un modesto fotografo di Torino col quale fece subito amicizia. Ed il fotografo si lasciò convincere, mise a disposizione i primi capitali necessari per l'acquisto di una macchina da presa e l'inizio di una attività produttiva di film « dal vero ». Quel fotografo si chiamava Arturo Ambrosio e con il breve documentario di attualità sulla prima corsa automobilistica Susa-Mon 270