Cinema (Rome) (Oct 1939 - Jun 1940)

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UN TECNICO DEL Certe sottigliezze, certe romanticherie resteranno sempre ai margini della storia. Son cose che non incidono sul corso di essa, e semplice curiosità, o tutt'al più amore per la sfumatura possono indurre a ricercarle. Noi l'abbiamo fatto, e ci siamo trovati inaspettatamente di fronte a un autentico piccolo dramma. Ecco qua. Davanti a noi è seduto un attempato signore il cui lavoro, da quando cominciò a lavorare, è sempre stato il cinematografo. Il cinematografo ha riempito tutta la sua vita, le ha dato un senso, uno scopo; gli ha ammannito gioie e dolori, soddisfazioni e umiliazioni. Al suo calore egli si è fatto maturo: se egli ora è così, con questi pensieri nella testa, è colpa (o merito) del cinema. E colpa (o merito) del cinema è se i suoi discorsi con la moglie, coi figli, la sera quando tornava dal lavoro, cadevano il più delle volte, inavvertitamente, sugli attori, le dive, « le tìlms ». Il cinema è stato il suo compagno e il suo despota, il suo amico e il suo nemico. L'aveva seguito fedelmente, senza mai tradire, perchè aveva avuto fiducia lui, fin dal primo momento. E non è a dire che ne ricevesse glorie e onori, che anzi il suo destino era stato di mantenersi nell'ombra, piccola ruota preziosa confusa tra le tante. Si tratta di un tecnico del suono, il suo nome è sempre relegato in fondo ai <> titoli di testa », quando c'è. Ma questo non lo interessa minimamente. Ciò che più importa è che non sempre egli fu tecnico del suono, che vi fu un tempo nel quale il suo compito era d'altro genere. Sta appunto qui l'importante, il fatto più importante della sua vita: il trapasso dall' un compito all'altro. Quando il suono era di là da venire, egli faceva l'operatore. Era soddisfatto del suo mestiere e lavorava volentieri. Doveva sgobbare per quattro, dalla mattina alla sera, perchè allora di pellicole se ne realizzavano di più e gli specializzati erano di meno, ma non si lamentava per questo. Si può dire anzi che il suo lavoro fosse al tempo stesso il suo divertimento. Le parole incomprensibili, le « vispe Terese » che uscivano dalle labbra degli attori anche nei momenti più drammatici, erano per lui, oramai, cose del tutto naturali; le smorfie, il gestire ieratico, ogni sorta di svenevolezze, complici gli stipiti delle porte e le colonne, erano il suo pane quotidiano: egli girava la manovella, serio serio, e basta. Il suo mondo erano quelle inquadrature cariche, di gesti, vedute attraverso le lenti della macchina da presa, erano le fatalissime seduttrici, erano gli scettici blu, che si muovevano, spalancavano la bocca restando muti, oppure facevano cose da grandi e dicevano intanto cose da bambini. Erano bei tempi, quelli. E perciò non durarono. Fu un guaio quando venne il sonoro. « Lì per lì — dice il nostro interlocutore — non volevo crederci. Avevo visto un corto metraggio sonoro, due o tre scene incollate insieme in cui si vedeva un tenore cantare il Barbiere, due o tre signori parlare rivolti al pubblico da una ribalta a sipario chiuso, e altre cose del genere. La voce era stridula e tutti nella sala ridevano. Mi faceva bene quel riso, sapete?, perchè ancora io non credevo al sonoro. Ma forse farei meglio a confessare che non volevo crederci. E invece, poco dopo, ecco il cantante di jazz Allora compresi che era fatta, e vi assicuro che quella fu una grande amarezza per me. Voi forse non capite. Bisogna essere stati operatori del << muto » per capire. Quando nel buio della sala di proiezione io vedevo proiettato il mio lavoro, provavo una gioia sempre nuova, sempre ugualmente forte, perchè ero io, capite?, ero io che avevo trasformato quelle « vispe Terese » nelle frasi appassionate che adesso vedevamo sullo schermo, ero io che avevo fatto naturali quei gesti che invece non lo erano — poiché anche noi, a pensarci, si capiva che non lo erano. Non ci sembravano ridicoli, ecco tutto. Fu il sonoro, questo dannato sonoro che ci buttò in faccia quella ridicolaggine. E io non sapevo più se vergognarmi o adirarmi >'. * * * Il tecnico del suono s'è alzato e s'è messo a camminare su e giù per la stanza. Le sue mani tremano un poco, intrecciate tra loro dietro la schiena. Infine si sciolgono e l'uomo è di nuovo tranquillo. Si scusa e continua il discorso. <i Intanto, anche da noi i sistemi si andavano aggiornando. Pittaluga attrezzava la << Cines » per le nuove esigenze e dalla Germania tornavano Righelli e Brignone i quali, con Blasetti, cominciarono subito a produrre film parlati. Il primo in Italia fu, come sapete, la canzone dell'amore. Allora mi bu ai anch'io a capofitto nel sonoro. Feci ancora per un po' l'operatore, il tempo necessario per studiare i nuovi dispositivi tecnici, e poi cambiai. Ora sono tecnico del suono, ma, in confidenza e con tutta sincerità, devo dire che rimpiango il mio antico lavoro. Soddisfazioni? Sì, non mancano, ma ce n'era di più allora. Voi non saprete mai cosa significasse essere k quello che gira la manovella ». Adesso è un'altra cosa. Tutti son pronti a rilevare ogni imperfezione della colonna sonora, ma nessuno o pochissimi s'accorgono quando essa è perfetta, con tutte le intonazioni esatte, senza una nota falsa, i più lievi sospiri riprodotti limpidamente. E vi assicuro invece che il nostro orecchio c'entra per qualche cosa. Bisogna avvertire tutto: vi potrei dire ormai se vicino al microfono c'è un orologio. Oh ma, scusate, questa è un'altra questione ». E il tecnico si alza e ci acompagna alla porta ringraziando. È contento, poveraccio, di aver parlato, di essersi sfogato, che qualcuno l'abbia ascoltato. Sulla soglia, prima di salutarci, dice ancora : « Se scriverete un articolo su quello che v'ho detto, vi prego, non fate il mio nome. Mi spiacerebbe che si dicesse in giro che non sono all'altezza dei tempi. Grazie. Tante cose ». M. A. 287