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nerie; senza esagerazioni; i baltici sono sempre cauti e discreti; anche la piccola borghesia che altrove incapperebbe in facili errori di gusto e di misura, non c'è pericolo esorbiti o strafaccia. Ma, per tornare al teatro, cioè allo spettacolo pubblico, allo spettacolo organizzato per la massa, bisogna dire che il gusto baltico tiene meno conto dei fattori psicologici che dei coloristici e decorativi; la poesia non è servita, ma serve il teatro. E così la musica: le cui leggi sono magari più rispettate di quelle della poesia, ma non senza qualche scarto, deviazione od abuso. Quando ho assi■stito all'Opera Nazionale di Riga ad una interpretazione del Ballo in maschera di Verdi, io non ho potuto fare a meno di sottolineare l'enorme differenza di tono tra questa e le interpretazioni che della stessa opera avevo avuto occasione di vedere in Italia: l'ultimo atto, per esempio, è tutto portato sul piano del balletto; e anche il tragico finale, nonostante lo svolgimento musicale fedelissimo, scompare o si umilia nel gorgo veemente della coreografia. Altrettanto potrei dire di una rappresentazione del Bugiardo di Goldoni, a cui ho anche assistito: la quale era tutta mantenuta sul filo di un giuoco scenico arditissimo: indubbiamente originale, indubbiamente ricco di effetti singolari e spettacolari, ma dove l'evidenza dei caratteri si annullava e confondeva in una sorta di musica d'assieme, affidata per tre quarti non tanto alle parole quanto ai costumi, agli scenari, al movimento delle gambe, delle braccia, dei corpi.
Chiesi se fosse un tentativo di interpretazione insolita; volontario, cercato. Mi risposero che così il regista aveva « inteso » l'opera; e d'altra parte una recitazione senza sfondo, pacata, soltanto psicologica, come avrebbe potuto interessare? Vi dirò che il pubblico lettone da moltissime sere accorreva entusiasta a godersi quella recita : la compagnia degli attori non era di professionisti, era di dilettanti, e dilettanti di una piccola città, di Jelgava; ma essi recitavano con tanta finezza e squisitezza, con tanta fusione, soprattutto, che nessuno li avrebbe giudicati dei dilettanti. E Riga, non soltanto la Riga intellettuale, ma anche la popolana si divertiva — ripeto — un mondo; quando Lelio finiva col rimanere pri
Colombina e Arlecchino nel 'Bugiardo' lettone
gioniero del proprio azzardoso e teso giuoco, il pubblico rompeva in un applauso convinto, pieno, interminabile. Ammirazione peraltro che non andava all'opera, cioè alla singolare rappresentazione di un mondo vivo e di un tipo umano originalissimo, ma ai valori coreografici, e, direi, prospettici della commedia. Squisitezza e finezza; ma dov'era finito Goldoni, dove era stato confinato il poeta? E tuttavia non avevate cuore di rimproverarli: quell'ammirazione andava ad una cosa contraffatta, ad un Bugiardo ridotto a balletto, erano di legno, erano marionette i personaggi, era di cartapesta quella Venezia dove questi si muovevano, eppure...
Non vidi invece una commedia di autore lettone che si stava montando anche nei miei giorni di Riga. Era ancora allo studio; e non mi fu permesso di assistere alle prove perchè — spiegarono — le prove non si svolgevano in costume né a palcoscenico « messo a punto » : anche se avessi compreso la lingua, sarei rimasto deluso; tutto il lavoro, che era di ambiente contadino, appoggiava sulla suggestione degli scenari, dei costumi, ecc. Mi fu poi offerta la visione privata di un film che aveva per protagonisti dei contadini e come atmosfera un villaggio nella stagione dei matrimoni e delle feste. Una pellicola quasi senza intreccio; una sorta di documentario i cui elementi cercavano di congiungersi e legarsi, ma in funzione più decorativa e folcloristica che narrativa. Niente di straordinario; anche qui si cercava di creare un clima indipendentemente dai sentimenti e dai fatti che regolavano il racconto. Ma ne risultava un effetto ugualmente perspicuo: i personaggi non avevano un rilievo potente, ma il villaggio, ma la casa dei protagonisti, ma quell'aria pacata della campagna, tutto che era cornice e sfondo, una delizia. E intanto vedevo, intorno a me, visi beati; lo spettacolo trasportava i miei amici in quella regione di placido, morbido sogno in cui, puntualmente, essi domandano di essere condotti. MARIO PUCCINI
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